Come è noto, in occasione del 25esimo anniversario della pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, Papa Francesco al riguardo della pena di morte, nel discorso di chiusura dell’incontro promosso dal Pontificio Consiglio per la Promozione della nuova Evangelizzazione, ha esortato a «far emergere non solo il progresso nella dottrina ad opera degli ultimi Pontefici, ma anche la mutata consapevolezza del popolo cristiano, che rifiuta un atteggiamento consenziente nei confronti di una pena che lede pesantemente la dignità umana». In effetti l’attuale Catechismo da una parte riconosce la pena di morte come legittima in casi estremi, nei fatti definiti però quasi non esistenti: «Oggi, infatti, a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere efficacemente il crimine rendendo inoffensivo colui che l’ha commesso, senza togliergli definitivamente la possibilità di redimersi, i casi di assoluta necessità di soppressione del reo “sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti”».

Le parole del Papa hanno suscitato un’ampia discussione negli Stati Uniti, che va letta anche alla luce dei dati forniti da uno studio del Pew Research Center, per il quale il 46% dell’opinione pubblica invoca la cancellazione della pena capitale, mentre il 43% la difende. Il fronte dei contrari appare dunque in espansione, ma la spaccatura c’è e si ritrova anche nel campo cattolico. Molti hanno espresso grande soddisfazione per il chiaro pronunciamento di Papa Francesco, a cominciare da suor Helen Prejean, il cui impegno nel braccio della morte è stato reso drammaticamente celebre da Susan Sarandon nel film “Dead Men Walking”. Ma alcuni americani favorevoli alla pena di morte si sono espressi contro la posizione assunta dal Pontefice. Per farsi un’idea del tipo di dissenso sono particolarmente significativi gli ampi articoli pubblicati sul Catholic Herald dal professor Edward Freser, da Steve Skojec su One Peter Five e dal professore emerito Brian W. Harrison su The Wanderer.

Edward Freser, professore associato di filosofia al Pasadena City College, autore del recente saggio “Cinque prove dell’esistenza di Dio”, come è prassi in questi casi parte dalle Sacre Scritture, e in particolare dalla Lettera ai Romani di San Paolo 13,4: «I governanti infatti non sono da temere quando si fa il bene, ma quando si fa il male. Vuoi non aver da temere l’autorità? Fa il bene e ne avrai lode, poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male».

Nella sua lunga ricostruzione ha rilevanza l’insegnamento del Concilio Vaticano I, per il quale i cattolici devono interpretare le scritture come furono comprese dai Padri e in fedeltà all’interpretazione tradizionale. Da Papa Innocenzo I in avanti questo insegnamento tradizionale è stato sempre ribadito. Egli infatti affermò che giustiziare il reo è un diritto che deriva dall’autorità di Dio. Papa Innocenzo III ne fece oggetto di accettazione dell’ortodossia cattolica, il catechismo pubblicato da San Pio V e poi da San Pio X ne ribadì la legittimità e Pio XII ricordò che l’assassino, per via del suo crimine, si è privato del diritto a vivere. 

Lo stesso Giovanni Paolo II, prosegue l’articolo, ha ribadito che in determinate condizioni il ricorso alla pena di morte può non essere escluso e, sottolinea, la sua preferenza per l’abolizione della pena di morte non venne resa vincolante. Il saggio ricorda infine che lo stesso Benedetto XVI ha sollecitato misericordia, senza definire inammissibili opinioni diverse. La conclusione del professor Freser è: «Può un Papa contraddire le Scritture e i suoi predecessori su un argomento del genere? No, non può». 

Sul Catholic World Report Edward Freser insieme a Joseph M. Bessette parte da Giovanni Paolo II: era un fiero avversario della pena di morte, ma riconosceva che un cattolico di parere diverso dal suo poteva legittimamente ricevere la comunione, essendo la sua solo un’opinione. E si arriva così a questa certezza, citata da Usa Today: «Per crimini particolarmente odiosi nessuna punizione minore può rispettare il principio cattolico della proporzionalità della pena». 

Steve Skojec, laureato in teologia e commentatore per molti quotidiani statunitensi, su One Peter Five non ha esitato ad adombrare l’eresia. Nelle pagine di questo blog da lui fondato, Skojec sottolinea di occuparsi dell’argomento da quando Papa Francesco ha sottolineato in Amoris laetitia che la Chiesa avverte l’urgenza di affermare il diritto ad una morte naturale senza trattamenti aggressivi e senza eutanasia e altrettanto fermamente di rigettare la pena di morte. Anche secondo Skojec l’insegnamento ecclesiale sulla legittimità della pena di morte viene dalla Scritture e dal Magistero e quindi non può essere consentito che il Papa affermi che la pena di morte deve essere definita dal catechismo come contraria al Vangelo. 

Le citazioni evangeliche scarseggiano, ma Pio XII, sottolinea Skojec, davanti ai giuristi cattolici ribadì il diritto medicinale, per impedire che il reo ripeta il suo crimine, prevalente su quello vendicativo, che fa espiare al criminale il male causato dalla sua colpa. E dopo molte altre citazioni l’autore si sofferma su San Tommaso D’Aquino, del quale ricorda un concetto: il fatto che individui cattivi vivendo possano essere corretti dai loro errori non proibisce che possano essere giustamente giustiziati, perché il rischio generato dal loro permanere in vita è più grande e più certo del bene che può derivare dal loro miglioramento. 

Sul quotidiano cattolico on-line The Wanderer, fr. Brian W. Harrison, professore emerito di teologia all’Università pontificia di Puerto Rico, basandosi su considerazioni che ricordano il magistero tradizionale e i nuovi orientamenti non vincolanti di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI ricorda il grande teologo e beato John Henry Newman: a suo avviso, scrive, «ogni nuova tesi teologica che contraddica il precedente insegnamento della Chiesa, piuttosto che spiegarlo più pienamente, ne è una corruzione, non uno sviluppo. E purtroppo quello che vediamo qui è una contraddizione del precedente, fermo e costante insegnamento».

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