Un’esplosione di rabbia e di gioia. I blindati e i vecchi tank hanno cominciato a percorrere a tutta velocità le strade distrutte di Raqqa, a fare piroette come le auto dopo una vittoria in una partita. Per i guerriglieri curdi era la fine della più dura e difficile battaglia nella loro storia recente. Quattro mesi e dieci giorni di combattimenti urbani contro i meglio addestrati e più fanatici jihadisti dell’Isis. Una battaglia isolato dopo isolato, casa per casa, costata centinaia di vite fra gli uomini dello Ypg, il nerbo delle Syrian democratic forces (Sdf), armate e addestrate dagli Usa con lo scopo preciso di conquistare la capitale siriana dell’Isis e dare un colpo definitivo al califfato di al-Baghdadi.

Ieri mattina c’è stato l’assalto finale ai due ultimi fortini, in macerie, come tutta la città, un tempo di mezzo milione di abitanti. Le forze d’élite dello Ypg hanno attaccato l’ospedale e lo stadio, dove un centinaio di foreign fighter irriducibili ancora resistevano, dietro lo scudo dei civili. L’assalto è durato poco, gli stranieri dell’Isis, in gran parte maghrebini, si sono arresi, una ventina è stata uccisa. La bandiera delle Sdf è stata alzata sugli edifici riconquistati e quelle nere sono sparite per sempre dalla vista. Il portavoce delle Sdf, Talal Sello, poco dopo ha dichiarato che la battaglia era «finita» e che Raqqa era «interamente ripulita» dagli islamisti. Restavano da «bonificare» alcune aree attorno all’ospedale, edifici pieni di bombe-trappola e forse qualche tunnel.

L’operazione a guida Usa contro l’Isis in Siria e Iraq, confermava che il 90 per cento della città era al sicuro e che nel restante dieci per cento rimanevano cellule dormienti e zone minate. Per Raqqa capitale dell’Isis è comunque la fine. Nel gennaio del 2014 al-Baghdadi l’aveva scelta per ragioni strategiche e di propaganda. Nel cuore della valle dell’Eufrate, a metà strada fra Aleppo e Mosul, vicino al confine con la Turchia da dove arrivavano i combattenti dall’estero e i rifornimenti, Raqqa era una base perfetta per espandere il califfato, e nella storia era già stata scelta per lo stesso scopo dal quinto califfo abasside, Harun al-Rashid, fra il 786 e l’809. Il regno dell’Isis è durato tre anni e mezzo, punteggiato di esecuzioni sempre più scenografiche e terrificanti nella piazza dell’orologio e vicino al Tribunale.

Senza Raqqa, e Mosul, il califfato è poca cosa ma non è ancora liquidato. A Raqqa c’era un nucleo duro di votati alla morte, ma quel che resta dell’esercito di al-Baghdadi, 15 mila uomini, si è spostato a valle, lungo l’Eufrate, nelle ultime città siriane ancora parzialmente sotto il suo controllo, Deir ez-Zour, Mayadin, e Abu Kamal, al confine con l’Iraq. Dal lato iracheno, ad Al-Qaim e nelle zone desertiche circostanti, restano ancora nuclei consistenti, che attraversano la frontiera avanti e indietro, e lanciano assalti mordi e fuggi contro le postazioni isolate dell’esercito siriano, di quello iracheno e delle milizie sciite.

Queste forze, va detto, riceveranno probabilmente alcuni rinforzi proprio da Raqqa. I curdi, con una scelta che ha macchiato la vittoria, hanno deciso di chiudere la partita con una trattativa. Tra venerdì e domenica circa 300 combattenti siriani dell’Isis, con le loro famiglie, sono stati fatti uscire e portati via con decine di pullman. Non è chiara la loro sorte ma l’intelligence francese ha lanciato l’allarme e rallentato le trattative, per il timore che i foreign fighter francesi si potessero infiltrare nel gruppo e riguadagnare libertà d’azione. Il dubbio rimane ma per ora a dominare è la gioia per la vittoria.

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