Noi, eterni ragazzi digitali alla corsa cinese dell’innovazione

Noi, eterni ragazzi digitali alla corsa cinese dell’innovazione

Paolo sta viaggiando in Cina per presentare il software realizzato da PubCoder, startup torinese. Racconta quello che vede e ascolta, pregandoci di attribuire al jetlag errori e sviste

- Vado in Cina. A Chongqing.

- [silenzio imbarazzato]

- A Chongqing, un paesino con trentatré milioni di anime.

Anche io non sapevo granché di Chongqing prima di atterrare nel suo luccicante aeroporto internazionale, poi ho capito che la geografia dai tempi del mio liceo è cambiata: è una regione che cresce dell’11% all’anno, e che vale un prodotto interno lordo di 230 miliardi di euro (ho fatto il conto due volte, sono davvero 230 miliardi di euro). Un’infilata di parchi industriali, di acceleratori di impresa, di industrie manifatturiere, tutto in crescita vorticosa; palazzi di trenta e quaranta piani costruiti a grappoli, distribuiti a perdita d’occhio, tra montagne e fiumi, circondati dalla storia della Cina più antica, quella fatta di statue e valli incantate.

Non sono in gita di piacere. Sono venuto a verificare l’interesse dei cinesi per le imprese che si occupano di innovazione, in particolare di quella digitale, e sono capitato in una delle settimane più importanti per la Cina, quella del XIX° Congresso del Partito Comunista, che decide gli equilibri di potere della nazione che oggi è, probabilmente, la più potente del mondo.

Mi unisco ad un gruppo di startup accompagnate in Cina da H-Farm, e insieme andiamo al nuovo acceleratore di TUSHoldings, un gruppo che fa capo alla Tsinghua, la potentissima Università di Pechino che ha il mandato di moltiplicare l’innovazione, di attirare talenti dall’estero e di far rientrare i tantissimi ex studenti cinesi che fanno la fortuna di startup internazionali. In questi giorni TUS ha inaugurato a Chongqing TusPark, un complesso di tredici edifici (circa 100.000 metri quadri) dove vengono ospitati nuovi insediamenti e startup. Sta partendo tutto, noi siamo probabilmente i primi ospiti internazionali e veniamo immortalati in qualsiasi angolo, facciamo foto con le autorità locali, i maggiorenti venuti dalla capitale e il nostro console: perché a Chongqing le nostre aziende stanno cercando di approfittare di una crescita oramai ignota nel nostro paese, e per governare il traffico servono istituzioni in loco.

Peraltro la vista dall’ufficio del consolato, sopra al quarantesimo piano di uno degli edifici più belli della città, ci fa capire che la partita è seria: un treno così veloce ai nostri tempi è raro, e per salire a bordo occorrono diplomazia, velocità e molta perseveranza. Ovviamente noi eterni ragazzi del digitale non siamo esattamente nel radar, ma troviamo degli interlocutori e proviamo a capirne di più; una cosa è chiara: i cinesi cercano “uomini di mondo”. Nel senso che hanno la sensazione di poter trovare in chi viene da fuori qualcuno capace di parlare con il resto del globo meglio di quanto non sappiano fare loro. Non comprano solo innovazione, cercano uno sguardo meno provinciale; segno ulteriore di grande intelligenza, riconoscersi qualche limite e cercare di superarlo.

Noi italiani contemporanei non saremmo tipicamente il prototipo del “poco provinciale”, però chi in Italia si occupa di innovazione ha spesso storie di studi e lavoro all’estero, di rapporti con interlocutori in giro per il mondo, di continua pulsione a “internazionalizzare” attività che se confinate nel mercato italiano avrebbero possibilità scarsissime. E le idee che ho sentito raccontare ai nostri interlocutori cinesi mi sono francamente sembrate molto buone, abbiamo ricevuto un sacco di complimenti, peraltro un po’ di soldi li avevano già investiti nelle nostre aziende e nei prossimi giorni capiremo se insisteranno.

In Cina i soldi sono tanti e verranno spesi sempre più per accelerare i processi di innovazione; la prossima settimana verranno chiarite le linee strategiche del prossimo quinquennio, ma tutti danno per scontato che anche qui robot, intelligenza artificiale, realtà aumentata a digitalizzazione diffusa continueranno ad essere e sempre più saranno temi caldi. Con buona pace di chi ha ancora oggi un’idea stereotipata della Cina, che rimane conservatrice e chiusa su molti fronti ma che è sempre più disponibile all’innovazione ed alla sperimentazione.

Qui pagare con un telefonino sta diventando la norma; decine di università cinesi occupano i primi posti delle classifiche di eccellenza grazie alla loro capacità di allearsi strategicamente con prestigiose accademie internazionali; le ricerche sui nuovi materiali e sulla sostenibilità stanno diventando sempre più importanti, e forse leggere sui giornali che Torino è inquinata “come Pechino”, tra qualche tempo, non sarà più ovvio. Perché Pechino si sta attrezzando.

Ansie

- Attrezzati, perché censurano tutto

Lo dico subito, è vero ma non riguarda noi stranieri. Io ho un abbonamento che mi permette di usare il mio telefono come in Italia, e uso e vedo quello che mi pare. Se però aggancio una rete wifi, allora scompaiono Google e tutti i suoi servizi (tutti, compresi Gmail e Youtube), Whatsapp mette il freno a mano e le altre cose alcune vanno altre non si capisce. Una sola certezza: WeChat, che è una scheggia, qui si telefona e videochiama allegramente in qualunque condizione.

Però è vero che l’altra sera sul letto della mia camera di albergo ho trovato una laconica comunicazione su fantomatiche manutenzioni dei canali televisivi stranieri, guarda caso coincidenti con il Congresso del Partito; di nuovo, la cosa riguarda gli altri, perché io la CNN sul mio telefono la vedo perfettamente, e c’è anche qualcosa di vagamente anacronistico, come se certe prassi si fossero cristallizzate nel tempo, e pigramente si ripetessero in attesa di essere superate da altro. E quell’altro si chiama video controllo, localizzazione, tracciabilità di persone e spostamenti.

Questa ansia di controllo un po’ si avverte: all’inizio del Congresso in tutta la metropolitana di Chongqing sono stati installati dei metal detector, a tutte le entrate; i controlli in aeroporto sono diventati ancora più rigidi, e a farne le spese è stato il mio bagaglio, che è stato trattenuto in aeroporto per manifesta pericolosità (le due pile del rasoio rappresenterebbero una minaccia per la sicurezza nazionale). Sembra che a Pechino, sede del Congresso, scatti il coprifuoco alle undici di sera, e che molti spazi siano stati resi inaccessibili. E pare che qualche ulteriore stretta su usi e costumi non conformi ai dettami socialisti sia in previsione, dopo quella che ha falcidiato i campi da golf in tutto il paese: perché il golf non sarebbe sembrato, dopo attenta riflessione, consono.

Noi, eterni ragazzi digitali alla corsa cinese dell’innovazione

(Il momento dello shopping in volo)


Cuor leggero che consuma

- E adesso tutti insieme: uno, due, tre

Sull’aereo che mi ha portato a Shanghai, quello dove ho poi scoperto non essere stato caricato il mio bagaglio atomico, ho assistito al meraviglioso spettacolo degli assistenti di volo cinesi. Dopo aver cercato di vendere ogni tipo di cibo e bevanda, siamo passati al momento fitness: serissimi, invece di mostrarci le uscite di sicurezza hanno fatto partire una sessione di torsioni del collo, stiracchiamenti di braccia e mani, colpetti sul torace e massaggi agli occhi.

Io ero l’unico sveglio a non partecipare, e dopo un po’ ripensandoci mi sono intristito, perché ho capito che la gioia del collettivo è persa per sempre; intorno a me braccia alzate a tempo, e meravigliosi scrocchiamenti sincroni. Però il clou seguiva: l’aerotelevendita, un momento altissimo in cui ci è stato illustrato tutto il catalogo degli acquisti di bordo; articolo per articolo, soffermandoci su alcune promozioni in volo, dal profumo al pupazzo. Tutto con grandissima professionalità, e con un pubblico attento, che seguiva e che, alla fine, ha comprato e non poco.

Sono sincero, questa cosa mi ha messo allegria, perché ero circondato da persone sorridenti che chiacchieravano amabilmente di profumi e giocattoli; e sono stato davvero tentato da un pupazzone ignobile di cui avevo immaginato le sorti magnifiche e progressive, decantate in una lunghissima presentazione, con toni enfatici e, a tratti, coinvolgenti. Ovviamente non capisco nulla del cinese, ma maledico il giorno in cui le nuove cuffie di Google pretenderanno di tradurmi tutto, togliendomi il gusto di una fantasiosa interpretazione.

(Le foto che corredano il testo sono dell’autore del diario)

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