Ignazio Visco? «L’ho nominato io. Da quel giorno non l’ho mai sentito». In ogni caso, non è possibile scaricare sulla Banca d’Italia le responsabilità dei singoli. Putin? «E’ molto informato sulla situazione politica italiana ma non interferisce con le questione del nostro Paese». Il centrodestra? Silvio Berlusconi è sicuro che rimarrà unito come negli ultimi vent’anni: Matteo Salvini e Giorgia Meloni non possono essere definiti «populisti». La sua coalizione non ha nulla a che fare con i movimenti xenofobi. Il Cavaliere nega di oscillare tra la linea moderata della Merkel e quella del premier ungherese Orban.

Presidente Berlusconi, c’è sempre un alone di mistero sui suoi incontri con Putin. Qualcuno ha scritto che nell’ultimo incontro lei avrebbe tentato di convincere il presidente russo a raffreddare i rapporti con Lega e M5S. È vero?

«Non riesco ad immaginare come possa essere nata un’idea così stravagante. Il mio non era un viaggio politico ma un incontro privato con un amico. Abbiamo parlato ovviamente di politica, dei grandi scenari internazionali, e del ruolo decisivo che l’Italia potrebbe avere, se volesse, per favorire un rapporto positivo fra l’Occidente e la Federazione Russa, ricuperando quello “spirito di Pratica di Mare” che il mio governo aveva reso possibile nel 2002, inducendo Alleanza Atlantica e Russia a firmare il trattato che poneva fine a 50 anni di guerra fredda».

In molti in Europa temono un’influenza o un’intromissione dei russi sulla campagna elettorale italiana come in Usa. E’ un timore fondato?

«Putin è molto informato sulla situazione italiana, ma si guarda bene dal voler interferire, come è ovvio e giusto».

Lei è convinto di vincere le prossime elezioni politiche con una parte della coalizione di centrodestra che condivide le posizioni di altri partiti che in Europa sono considerati populisti, xenofobi, soprattutto avversari della linea moderata di Angela Merkel e favorevoli a quella di Orban. Come spiega questa sua “ambiguità” ai leader del Ppe?

«Nessuna ambiguità. Ho detto tante volte che quello per cui lavoro è un centro-destra inclusivo basato sui nostri valori cristiani e liberali e nel quale trovano legittima cittadinanza e un ruolo importante le idee della destra democratica. E’ questa la formula con la quale abbiamo governato insieme per molti anni, ed è l’unica formula possibile per vincere le elezioni. In ogni caso rifiuto per i nostri alleati la definizione di “populisti e xenofobi”: se lo fossero non potremmo stare nella stessa coalizione».

In Italia sta marciando a tappe forzate il Rosatellum. Due i punti critici: le coalizioni sarebbero solo virtuali, potrebbero rompersi il giorno dopo il voto. E i «nominati» da voi leader di partito sarebbero i 2/3 del Parlamento. Lei teme di non controllare gli eletti con le preferenze?

«Le coalizioni si possono rompere dopo il voto con qualunque sistema elettorale, se sono fondate su convenienze tattiche e non su principi condivisi. La nostra non si rompe da quasi vent’anni, mi sembra un buon indizio di solidità. Quanto alle preferenze, i meno giovani lo ricorderanno: la prima repubblica è morta di preferenze, di campagne elettorali costosissime, di guerre correntizie, di corruzione diffusa per finanziare tutto questo».

Vicenda Bankitalia. Lei a Bruxelles aveva detto che con Visco “non stati svolti i controlli che ci si attendeva” e che non sono del tutto senza senso le iniziative volte a verificare cosa sia avvenuto. Poi ha rettificato la sua posizione, prendendo le distanze da Renzi. Salvini invece ha detto che Renzi ha ragione. Ci spiega come stanno le cose? In altri termini, in questi anni da parte della Banca d’Italia c’è stato un deficit di sorveglianza? Sì o no?

«E’ una questione molto complessa, che di solito viene affrontata in termini sbagliati. Non si possono condannare le banche per aver fatto le banche, e cioè per aver concesso dei prestiti che il persistere della crisi ha talvolta impedito a privati e aziende di restituire. Da liberale sono per la responsabilità personale, di banchieri o dei manager che hanno agito in malafede, o di controllori che non hanno controllato. Ma sono contrario a una condanna complessiva del sistema bancario, come sono contrario a scaricare sulla Banca d’Italia nel suo complesso, e quindi sul suo governatore, responsabilità che appartengono a singoli. La mossa del leader del Pd mi pare improvvida e sa di ritorsione o di occupazione del potere».

Secondo lei Visco dovrebbe essere confermato dal governo o ci vuole un cambio a Palazzo Koch?

«Sono stato io ad indicare il nome di Ignazio Visco al Capo dello Stato come governatore, negli ultimi mesi del mio governo, non certo per vicinanza politica, ma perché mi sembrava la figura più adatta. Da quel giorno, non l’ho mai incontrato, e neppure sentito al telefono, a dimostrazione di come per noi l’autonomia di Bankitalia dalla politica sia una cosa seria».

Boccia chiede di portare avanti quanto è stato fatto finora dal governo e di non depotenziare «alcune riforme che stanno dando effetti sull’economia reale». Condivide?

«Il discorso del Presidente Boccia va visto nel suo complesso. Mi sembra che il tema centrale fosse la crescita come strumento per ridurre disuguaglianze e povertà: condivido al 200%. E credo lui condivida il nostro programma per ottenerla, basato sulle liberalizzazioni, il taglio alle tasse, la lotta alla burocrazia, la crescita delle infrastrutture».

Oggi si voterà sul referendum lombardo-veneto. In prospettiva c’è un pericolo di deriva catalana? Non si rischia di sottrarre risorse al Sud?

«Naturalmente ogni paragone con la Catalogna è del tutto improprio. Questi referendum non soltanto si svolgono nel quadro di una piena legalità - questo è scontato - ma hanno come scopo la crescita di tutto il Paese. Se le regioni più efficienti camminano più velocemente, ne guadagna l’intera collettività, al Sud come al Nord. Non è una perdita di tempo che i cittadini siano chiamati a far sentire la loro voce su questo».

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