Ignazio Visco è al traguardo. Negli ultimi metri alle sue spalle è spuntata un’ombra, quella di Fabrizio Saccomanni, 74 anni, già ministro dell’Economia nel governo Letta e soprattutto ex direttore generale di palazzo Koch. Ma troppo tardi: la candidatura di compromesso - benvista da palazzo Chigi - è nata e morta nel giro di poche ore. Quasi certamente partirà stamane la lettera del premier Paolo Gentiloni con l’indicazione di Visco al Consiglio superiore della Banca d’Italia. E a quel punto per il Governatore uscente sarà l’apoteosi, perché da ieri si trova a Francoforte per il direttorio della Bce, una riconferma sul campo davanti a tutti i suoi colleghi europei. Ed è proprio dal contesto internazionale che - secondo fonti autorevoli - è maturata la spinta finale per la riconferma, data a questo punto al 99 per cento.

Una soluzione gravata da pressanti condizionamenti esterni, ai quali in certe occasioni non si può rispondere di no, ma certamente una soluzione preparata attraverso una estenuante trattativa nel perimetro Quirinale-Palazzo Chigi-via Nazionale. Con Matteo Renzi nei panni del convitato di pietra. Perché fino all’ultimo il leader del Pd si è trovato davanti al dilemma, se accettare nomi alternativi - non sempre graditi, per quanto suggeriti dal suo amico Gentiloni - oppure accettare la conferma di Visco. Rispetto al quale ora Renzi può riservarsi mani libere. In vista di una campagna elettorale che il segretario del Pd immagina di poter condurre cavalcando anche umori anti-establishment. E infatti - anche se nessuno lo confermerà mai - Saccomani (instradato da un Gentiloni, preoccupato di restare schiacciato nello scontro tra le due fazioni in lotta), non è stato affatto incoraggiato da Matteo Renzi.

Vicenda estremamente complessa, quella della nomina del Governatore, vicenda ricca di fili visibili e nascosti, nella quale ha assunto - e assumerà nelle prossime settimane - un ruolo significativo la Commissione Banche voluta dal Pd e nella quale Matteo Renzi ha ottenuto che siano presenti molti dei suoi amici politici più fidati, a cominciare dal presidente del partito Matteo Orfini. Già nei giorni scorsi i primi due segnali politici lanciati dalla neonata Commissione erano stati espliciti.

Il presidente Pierferdinando Casini aveva organizzato i lavori, decidendo di far partire le “indagini” dalle crisi delle due banche venete, in particolare la Popolare di Vicenza rispetto alla quale, per un certo periodo, Banca d’Italia ha manifestato esplicita fiducia. Il secondo colpo la Commissione lo ha dato il 18 ottobre, quando il Governatore Visco si presentò per chiedere di essere audito il prima possibile. Richiesta rigettata. Sta di fatto che ieri l’audizione in Commissione del Procuratore di Vicenza Antonio Cappelleri, pur ripetendo episodi noti e penalmente irrilevanti, ha richiamato alla memoria le traettorie professionali di alcuni dirigenti di Banca d’Italia, vicende che nel clima emotivo di questi tempi hanno rallentato la conferma di Visco.

E infatti proprio Matteo Orfini ha lanciato il siluro: «Abbiamo scoperto che parte di chi doveva vigilare lo ha fatto dicendo che andava tutto bene, e qualcuno di questi aveva un ruolo rilevante in Banca d’Italia. Quegli stessi che poi ci siamo ritrovati come consulenti delle banche che dovevano controllare. Ecco, questo meccanismo di porte girevoli è discutibile e ha prodotto disastri». Certo, si trattava di episodi noti da tempo che Orfini ha presentato come “scoperte” della Commissione, ma delle parole del presidente del Pd conta il messaggio politico: in Commissione sarà dura per tutti. Compreso il riconfermato Governatore della Banca d’Italia.

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