Il più sulfureo della giornata è stato Miguel Gotor, che ha puntato il dito contro i suoi compagni del Pd. «Oggi si chiude la triste parabola di quanti sono entrati in Parlamento con Bersani e, grazie a Renzi, ne usciranno a braccetto con Verdini. Alcuni prescelti potranno tornare in Parlamento nella prossima legislatura - ha sottolineato il senatore di Mdp - ma soltanto per appoggiare un governo di larghe intese con Verdini e Berlusconi che la legge elettorale votata oggi renderà necessario».

Il Rosatellum comunque oggi diventerà legge con il voto finale di una maggioranza trasversale e dopo le 5 fiducie votate ieri al Senato a tamburo battente. Gli avversari della legge hanno cercato di colpire i Dem dove pensano di fare più male ovvero sul soccorso dei senatori di Verdini che viene sempre evocato come il diavolo, la prova sicura che si tratta di un sistema elettorale propedeutico all’inciucio con Silvio Berlusconi nella prossima legislatura.

In effetti i verdiniani sono stati essenziali ma solo per garantire il numero legale in aula e aprire i giochi. I 13 senatori di Ala hanno pure votato le fiducie, ma i loro voti non erano vitali: sono stati sufficienti quelli della maggioranza formata dal Pd e alfaniani di Alternativa popolare. Strategiche le assenze dei parlamentari di Forza Italia e della Lega: non partecipando al voto, non sono stati conteggiati nel computo del numero legale. Il quorum si è abbassato e così le danze si sono aperte tra le urla.

Nessuna suspence perchè al Senato il voto sulle fiducia, a differenza della Camera, si è svolto a scrutinio palese. Un tour de force nel quale i 5 Stelle e i bersaniani di Mpd non sono riusciti a fermare il Rosatellum, ma hanno dato fondo a tutte le accuse possibili e ad epiteti tipo «buffoni, buffoni» rivolti ai banchi del Pd.

Il senatore grillino Mario Giarrusso ha fatto il gesto dell’ombrello passando sotto i banchi della presidenza per votare no. Il suo collega Vito Crimi ha chiesto al presidente del Senato di dimettersi per non rendersi «complice» dell’approvazione della legge. La risposta di Pietro Grasso: «Può essere più duro resistere che abbandonare con una fuga vigliacca». Ma i due momenti politicamente più rilevanti sono stati l’intervento dell’ex capo dello Stato Giorgio Napolitano - molto critico sulla fiducia posta dal governo secondo lui sotto la pressione di Matteo Renzi - che ha concesso una fiducia con riserva, convinto che in questa fase non vada indebolita l’azione di Paolo Gentiloni («salvaguardare il valore della stabilità»). Nonostante le «forzature» e le «forti pressioni» alle quali il premier sarebbe stato «sottoposto». Napolitano non ha partecipato al voto di fiducia, ma sarà presente oggi in aula per il voto finale. Quando esce dall’Aula sottobraccio a Ugo Sposetti - l’ex tesoriere dei Ds che gli è stato accanto per tutta la mattina - Napolitano esplicita il richiamo all’autonomia del presidente del consiglio. Si dispiace di un Gentiloni che cede alle pressioni, «adesso vedremo le sue prossime decisioni», risponde alludendo alla scelta, ormai in arrivo, che spetta al premier sul nuovo governatore di Banca d’Italia, sottolineando che «sta marcando una sua autonoma responsabilità: il richiamo alle sue prerogative l’ha fatto in modo particolare per la Banca d’Italia, ma ha un valore politico più generale».

Il secondo momento clou è stato l’avvertimento dei 5 Stelle al Quirinale. È stato Alessandro Di Battista ad alzare la posta. «Al Presidente Mattarella voglio solo ricordare che quando era deputato della Repubblica intervenne in aula contro la riforma elettorale del governo Berlusconi perché approvata a colpi di maggioranza, disse che era vergognoso. Mi piacerebbe ricordare a Mattarella di fare Mattarella. Faccia attenzione a firmare una seconda volta una legge truffaldina e anticostituzionale». Non sembra però che il presidente della Repubblica si lascerà condizionare da questo avvertimento. Non spetta a lui valutare il merito della legge. Quanto alla fiducia, la decisione spetta al governo e non al Quirinale.

Alla fine di questa maratona viene fuori una nuova fotografia delle forze in campo a Palazzo Madama. Mdp è uscita ufficialmente dalla maggioranza e ora per la legge di bilancio la strada si fa in salita.

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