L’incontro appena avvenuto tra il Patriarca Teofilo e Papa Francesco è stato una tappa speciale del «tour» speciale, che il Capo della Chiesa ortodossa di Gerusalemme sta compiendo tra leader politici e religiosi di tutto il mondo, non a titolo personale ma a nome di tutti i capi delle Chiese presenti in Terra Santa. Con l’intento dichiarato di sensibilizzare tutti su quello che viene descritto come un tentativo di scardinare le regole codificate che da secoli disciplinano la vita delle comunità cristiane nella terra dove è nato e ha vissuto Gesù. Una «campagna» che, in futuro, potrebbe arrivare anche fino a Putin e a Trump.

Lei ha da poco chiesto e ottenuto un incontro con Papa Francesco. Cosa le premeva dire al Vescovo di Roma?

«Ho incontrato Papa Francesco a nome di tutti i capi delle Chiese e delle comunità cristiane di Terra Santa. Volevo dirgli che in Terra Santa i diritti storici delle comunità cristiane sono minacciati, perchè viene posto sotto attacco lo Status Quo, la serie di regole codificate che da secoli disciplinano la vita delle comunità cristiane e tutelano la loro modalità di accesso ai Luoghi Santi e la gestione delle loro proprietà. Ci sono gruppi che vogliono modificare questo assetto, aprendo brecce nello Status Quo, e questo sta creando una situazione a rischio».

A cosa si riferisce, in concreto?

«Gruppi di coloni stanno usando metodi subdoli e contorti per impossessarsi dei beni delle Chiese. Ad agosto la Corte israeliana ha respinto le iniziative legali con cui il Patriarcato greco ortodosso di Gerusalemme aveva tentato di far riconoscere l’appropriazione illegale di una sua proprietà della Città Vecchia da parte di uno di questi gruppi di destra. Il Patriarcato ora ha fatto ricorso alla Corte suprema. Crediamo che ascolteranno i nostri argomenti legali. Ma i pericoli non riguardano una sola Chiesa. Colpiscono tutte le Chiese. Lo dimostra un disegno di legge, firmato da quaranta deputati in Israele, che se venisse approvato metterebbe a rischio i diritti delle Chiese su molte delle proprietà ecclesiastiche».

Come pensate di affrontare questa situazione?

«I capi delle Chiese della Terra Santa affrontano questa situazione in piena unità, e hanno sottoscritto un documento per denunciare tutti insieme che i recenti attacchi allo Status Quo esprimono un “tentativo sistematico per minare l’integrità della Città Santa” e per “indebolire la presenza cristiana in Terra Santa”. Adesso si tratta di far crescere la consapevolezza su tutto questo, anche fuori dalla Terra Santa».

Papa Francesco, nel discorso che le ha rivolto, ha affermato che lo Status Quo deve essere difeso e preservato. È sufficiente, per voi questa dichiarazione?

«Il Papa comprende la situazione. La conosce attraverso gli occhi dei cristiani di Terra Santa. Il suo sostegno è necessario. E se lui dice che lo Status Quo deve essere preservato, questo è sufficiente. Vuol dire che bisogna proteggerlo da ulteriori tentativi messi in atto per modificare forzatamente il profilo multi-etnico, multi-culturale e multi-religioso della Città Santa. Lo Status Quo garantisce anche che le Chiese siano libere di gestire le loro proprietà. È la formula sintetica a cui si ricorre per dire che la presenza cristiana deve rimanere così come è oggi, nei luoghi e nelle zone dove è radicata oggi».

Quali sono i contenuti della proposta di legge che vi preoccupa?

«La proposta di legge riguarda le proprietà di tutte le Chiese, e prevede che lo Stato possa espropriare le proprietà ecclesiastiche, se si verificano certe condizioni. Anche se il progetto di legge non verrà approvato o verrà modificato, il fatto stesso che un terzo dei parlamentari l’abbia sottoscritta dovrebbe suonare come un campanello d’allarme per tutti».

Prima del Papa, lei ha avuto altri incontri con autorità politiche ecclesiali per sensibilizzarli su tutto questo.

«Negli ultimi tempi ho visitato il Patriarca ecumenico Bartolomeo. Re Abdallah di Giordania, il Primo Ministro palestinese Rami Hamdallah e il Presidente israeliano Reuven Rivlin. Prossimamente ci sarà l’incontro con il Primate anglicano Justin Welby. Poi decideremo insieme ai capi delle altre Chiese come proseguire. Abbiamo in programma di incontrare le autorità greche e quelle britanniche, oltre ai rappresentanti dell’Unione europea a Bruxelles. Poi dovremo valutare le reazioni, e eventualmente proseguire ancora, incontrando anche le autorità della Russia e degli Usa».

In Terra Santa ci sono gruppi che accusano il Patriarcato ortodosso di Gerusalemme di gestire male e di svendere le proprietà della Chiesa.

«È un argomento incandescente, e soggetto a facili manipolazioni. Per questo rappresenta una piattaforma ideale per persone che vogliono sfruttare tale questione per perseguire una propria agenda, magari per acquisire visibilità mediatica o per i propri interessi di affermazione politica. Le sigle di gruppi organizzati che alimentano queste campagne di accuse rappresentano solo se stesse. Nessuno li ha scelti, nessuno li ha designati».

Come risponde a tali accuse?

«Noi abbiamo ereditato dei problemi dalle epoche precedenti, problemi che non possono essere ignorati e che stiamo risolvendo. Stiamo facendo del nostro meglio. Abbiamo contatti con le istituzioni governative israeliane, giordane e palestinesi. Le comunicazioni che riceviamo dalle istanze ufficiali ci confermano che esse sostengono il Patriarcato e comprendono quello che stiamo facendo. Purtroppo ci sono alcuni singoli politici che stanno sostenendo le sigle che ci attaccano. Ma quando chiediamo spiegazioni, ci viene risposto che quei politici, nei loro interventi su questa vicenda, agiscono a titolo personale e non rappresentano le posizioni delle autorità ufficiali».

L’unità dei cristiani non è solo un fare «fronte comune» nei rapporti con le autorità civili. Cosa impedisce a cattolici e ortodossi di camminare spediti verso la piena unità visibile?

«Non c’è qualcosa che lo impedisce. Direi che si tratta di un processo. A Roma, incontrando anche il cardinale Kurt Koch e i suoi collaboratori del Pontifico Consiglio per l’Unità dei cristiani, abbiamo riconosciuto che l’unità piena non può arrivare dalla sera al mattino, ma ciò che conta è il processo, andare avanti nel cammino. Noi dobbiamo fare la nostra parte, e il resto è nelle mani del Signore. Già ora molte cose sono cambiate rispetto al passato. Ora c’è mutua comprensione e reciproco rispetto. Non ci sono litigi, pregiudizi, sospetti, bigotterie tra di noi».

Quale è il contributo specifico che il Patriarcato di Gerusalemme può offrire al dialogo teologico tra cattolici e ortodossi?

«Tutte le denominazioni e le comunità cristiane riconoscono che Gerusalemme è il luogo sorgivo della Chiesa primitiva, della Chiesa nascente. Da lì la Chiesa si è diffusa in tutto il mondo. Anche i gruppi cristiani che pongono al centro del loro interesse la Bibbia riconoscono subito ciò che unisce Gerusalemme alla Bibbia. La Chiesa di Gerusalemme può offrire questo. Alla Chiesa di Gerusalemme possono applicarsi le parole degli evangelisti San Matteo e San Luca, quando parlano della chioccia che riunisce i pulcini sotto le proprie ali».

Papa Francesco ripete che il proselitismo tra le diverse Chiese è «peccaminoso». Il modo in cui lui esercita il suo ministero di Vescovo di Roma può favorire qualche passo avanti nel cammino verso la piena unità tra i cristiani?

«Lui gode di grande rispetto in tutto il mondo. Forse anche perchè sta provando a “rompere il cerchio”. E sappiamo che i Profeti, anche nell’Antico Testamento, sono stati osteggiati e anche perseguitati.... Proprio perchè rompevano i “circoli chiusi”, per far arrivare i doni al popolo. Per me, quando lo incontri, ti accorgi che con lui puoi davvero comunicare, perchè Papa Francesco è una persona che crede in quello che dice e in quello che predica».

In passato i cristiani hanno spesso litigato per la gestione dei Luoghi Santi a Gerusalemme. Ora, invece, il restauro dell’edicola del Santo Sepolcro è avvenuto con il contributo comune del Patriarcato greco ortodosso, del Patriarcato armeno e della Custodia di Terra Santa. Quale importanza attribuisce a questo fatto?

«Il restauro condiviso dell’Edicola del Santo Sepolcro rappresenta un punto di svolta nel nostro contesto. Io spero e prego che questo ci aiuti ad andare avanti. È una vicenda che ha rallegrato noi e tanta gente in tutto il mondo. Ma San Giovanni Damasceno diceva che “l’uomo è una ferita”, e io lo tengo sempre a mente. Nel profondo del nostro essere, tutti noi portiamo una ferita, e questo vuol dire che siamo soggetti alla corruzione. Siamo uomini, e non bisogna aspettarsi che diventiamo angeli. Il Patriarca Benedetto, quando eravamo giovani, ci diceva: non pretendo che voi siate angeli, desidero che siate umani. E certe volte essere angeli sarebbe molto più facile che essere uomini».

Il Patriarcato di Gerusalemme come si colloca rispetto alle relazioni tra le Chiese ortodosse? Considera il Concilio di Creta un vero Concilio? E come vede il ruolo della Russia e della Chiesa russa in Medio Oriente?

«Il Patriarcato di Mosca ha storicamente un ruolo importante, anche in Terra Santa. Rispetto all’evento che ha avuto luogo a Creta, credo che si sia trattato di un evento storico importante, perchè ha mostrato l’unità delle Chiese ortodosse, e adesso tutti ne stanno cogliendo l’importanza. Oggi le Chiese ortodosse devono misurarsi con un problema “esistenziale”: esse non godono più di garanzie e di sostegni costituzionali da parte delle loro rispettive nazioni. La Grecia è la sola nazione in cui la Chiesa è costituzionalmente garantita, ma dovunque si afferma il principio di separazione tra Chiesa e Stato. Certo, ci sono tanti politici che difendono la Chiesa ortodossa, ma i politici vanno e vengono, e questo non durerà per sempre. Le Chiese ortodosse hanno bisogno di sostenersi a vicenda, e per questo l’unità che si è manifestata al Grande Sinodo di Creta è stata di importanza paradigmatica. Quel Sinodo ha mostrato in maniera tangibile che le Chiese sono unite, e camminano insieme».

Però alcune Chiese importanti erano assenti....

«Dei patriarcati che non hanno partecipato, ognuno aveva le sue ragioni. Per essere onesto, credo che ognuno di loro avesse dei problemi interni. Poi nessuno ha rifiutato i risultati di quel Sinodo. Perchè anche chi non ha preso parte a quel Sinodo rimane in piena comunione con tutte le altre Chiese. C’è chi sostiene che quel Concilio deve essere portato avanti. E in effetti, il Sinodo di Creta può preparare la strada a collaborazioni sempre più intense tra le Chiese. È solo questione di tempo».

Quindi, il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli ha fatto bene a convocare il grande Sinodo ortodosso…

«Il problema, nelle Chiese ortodosse, è spesso l’impasse su chi deve prendere l’iniziativa. Anche a questo riguardo quella del Sinodo è stata un’esperienza positiva, perchè adesso stiamo godendo i frutti di quella iniziativa. Per il patriarca Bartolomeo non è stato facile prendersi tutta la responsabilità e far fronte a tanti distinguo di carattere culturale e politico che avevano preso piede nelle diverse Chiese. Ma alla fine, dopo tanti anni, quest’obiettivo è stato raggiunto».

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