«Parliamo con tutti, siamo pronti alla coalizione anche se non era il mio sogno segreto. Aver fatto una legge che obbliga alla coalizione, tiene insieme Salvini e Berlusconi, che avrei preferito tenere divisi, ma ormai è andata. Noi non mettiamo veti, nemmeno su Mdp che ci insulta tutti i giorni: cosa vogliono ancora da noi?». A sera, quando ormai la sala del grande deposito treni di Pietrarsa si è svuotata e il presidente del consiglio Paolo Gentiloni è già in viaggio verso l’aeroporto per un viaggio istituzionale in India, Matteo Renzi è soddisfatto. «È andata molto bene», commenta coi collaboratori più stretti: una giornata complicata iniziata con la lettura delle critiche dei giornali è girata come sperava, la tregua con il premier è stata siglata sotto gli occhi di giornalisti e telecamere, tra sorrisi e battute. Dopo i giorni della tempesta e degli scontri su Bankitalia, è il momento di ricucire: e Renzi tenta di farlo platealmente, dal palco della conferenza programmatica del Pd.

«C’è stata in queste settimane qualche differenza di vedute», ammette Renzi introducendo il premier a una visita guidata sul treno Pd con cui sta girando l’Italia, «ma questa è casa tua». E il premier si concede all’abbraccio: chiedendo unità, ma anche con una puntura di spillo, chiedendo aiuto a chiudere il mandato in modo ordinato, pur sottolineando la leadership di Renzi. «Spalle larghe, poche chiacchiere, gioco di squadra e discussione aperta», invita tutti parlando dal palco, occhi negli occhi con Renzi in prima fila, «gli ultrà delle nostre divisioni sono la famiglia più numerosa d’Italia», e invece bisogna lavorarci perché «il primo punto del mio programma siamo noi», e «De Coubertin non è nel nostro Pantheon»: cioè «giochiamo per vincere». E in quel noi c’è la richiesta, che suona polemica al modo felpato di Gentiloni, di «prendere l’impegno solenne a una fine ordinata della legislatura» e a «non dissipare i risultati raggiunti in questi anni». E a fare una campagna elettorale «per l’Europa» non contro l’Europa.

Dalla prima fila Renzi applaude, poi lo accompagna all’uscita scherzando sul calcio, una battuta anche per Bankitalia, ma solo per ricordare insieme sorridendo quando Berlusconi al nome di Visco, sei anni fa, pensò al «comunista» Vincenzo anziché a Ignazio. Il saluto con il premier è solo l’ultima fotografia di una giornata passata a incontrare il suo sfidante alle primarie Michele Emiliano e a scherzare sul treno tra il ministro Marco Minniti e il collega Graziano Delrio («sono tra l’ala destra e l’ala sinistra del partito», dice in una diretta via Facebook). Delrio è tra i ministri che erano assenti al Consiglio dei ministri di venerdì che ha confermato Visco: un’influenza presa «nella galleria della Agrigento-Caltanissetta», si giustifica, ma ieri era presente. «Avevo parlato a lungo il giorno prima con Paolo - garantisce - sapeva che non sarei andato, tanto la scelta era già fatta. Io la penso come Matteo, ma è una decisione che ha preso Paolo e va bene così», tenta di tagliare corto sull’argomento: «Basta fare pettegolezzi sulle istituzioni».

Così, con l’abbraccio tra premier e segretario, si chiude il caso Visco. Con tutto il partito riunito, oppositori inclusi, dal ministro Orlando che ha parlato il primo giorno di lavori ma torna ad ascoltare, a Emiliano. Manca Franceschini. Sono tra i sospettati di poter ordire un agguato a Renzi, dopo le elezioni siciliane, se i risultati dovessero essere pessimi come si temono. «Mi spiace per la Sicilia, non per il Pd. Cosa volete che succeda? - sbotta coi suoi il segretario -. Vi immaginate se qualcuno avrà la forza di venire in direzione a contestare? E per cosa, poi? Non credo: sarebbe una mossa azzardata». Anche perché, aggiunge malizioso qualcuno dei suoi, a chiedere primarie avrebbero paura di una sua vittoria. «Andiamo avanti», ripete. La tregua è siglata. Quanto durerà, si scoprirà a breve.

I commenti dei lettori