Padre Thomas G. Weinandy, settantunenne teologo cappuccino che vive a Washington, il 1° novembre 2017 ha pubblicato una lettera aperta a Papa Francesco, resa nota negli Usa dal sito web Crux, in Italia dal blog del vaticanista Sandro Magister. La lettera era stata spedita al Pontefice a fine luglio e il teologo aveva ricevuto riscontro della sua ricezione dal Sostituto della Segreteria di Stato.

 

Padre Weinandy, membro della Commissione Teologica Internazionale, già direttore esecutivo e attuale consulente dell'ufficio dottrinale della Conferenza episcopale americana, si apre con una professione di fedeltà e sottomissione al Papa. Il cappuccino ha spiegato di aver chiesto un segno esplicito da Gesù prima di scrivere la missiva, e di averlo ricevuto mentre si trovava a Roma. Dopo la professione di fedeltà e sottomissione al legittimo successore di Pietro, Weinandy mette nero su bianco le sue critiche, a partire dal capitolo 8 di Amoris laetitia: «Non c’è bisogno qui di dire le mie personali preoccupazioni riguardo al suo contenuto. Altri, non solo teologi ma anche cardinali e vescovi, lo hanno già fatto... Lo Spirito Santo è dato alla Chiesa, e in particolare a lei, per sconfiggere l'errore, non per favorirlo».

 

Quindi il religioso critica l'atteggiamento del Papa verso la dottrina: «Coloro che svalutano le dottrine della Chiesa si separano da Gesù, autore della verità». E attacca Francesco anche sulle nomine episcopali negli Stati Uniti, in nome dei «fedeli cattolici», i quali «possono essere solo sconcertati dalle sue nomine di certi vescovi, uomini che non solo appaiono aperti verso quanti hanno una visione contrapposta alla fede cristiana, ma addirittura li sostengono e difendono». Qualche sito web ha pensato di indicare per nome e cognome tali vescovi, dimenticando che essi erano stati tutti elevati alla dignità episcopale e in qualche caso anche promossi nel corso dei pontificati dei due immediati predecessori di Francesco.

 

Padre Weinandy attacca anche il Papa a proposito del «silenzio» dei vescovi: «Lei ha notato che la maggioranza dei vescovi di tutto il mondo stanno fin troppo in silenzio? Perché è così? I vescovi imparano alla svelta, e ciò che molti di loro hanno imparato dal suo pontificato non è che lei è aperto alla critica, ma che lei non la sopporta. Molti vescovi stanno in silenzio perché desiderano essere leali con lei, e quindi non esprimono – almeno in pubblico; in privato è un’altra cosa – le preoccupazioni che il suo pontificato alimenta. Molti temono che se parlassero con franchezza sarebbero emarginati o peggio».

 

Lo stesso giorno della pubblicazione della lettera di denuncia della «confusione» nella Chiesa, la Conferenza episcopale statunitense ha comunicato che padre Weinandy, dopo un colloquio con il segretario dell'episcopato, «si è dimesso immediatamente dalla sua posizione come consulente alla commissione Usccb sulla dottrina. Il lavoro della commissione è fatto a sostegno, in collegialità affettiva, con il Santo Padre e la Chiesa negli Stati Uniti. Le nostre preghiere vanno per il padre Weinandy mentre il suo servizio al comitato si chiude».

 

Il giorno dopo, 2 novembre 2017, un altro teologo già direttore esecutivo dell'ufficio dottrina della Conferenza episcopale americana, ha preso carta e penna per scrivere una lettera: non al Papa, questa volta, ma a padre Weinandy. La lettera è stata pubblicata da America magazine. Monsignor John J. Strynkowski, sacerdote della diocesi di Brooklyn, inizia dicendo di non voler entrare nel merito delle «condizioni soggettive» che hanno ispirato il collega Weinandy, ma gli ricorda innanzitutto che l'esortazione Amoris laetitia verso la quale il teologo cappuccino «esprime grande preoccupazione, è frutto di due Sinodi e un'ampia consultazione in tutta la Chiesa. È ampiamente riconosciuta come un atto del Magistero ordinario e gode quindi della presunzione come essere stata guidata dallo Spirito del Signore».

 

Padre Weinandy aveva scritto al Papa che la sua guida, a proposito del capitolo 8 di Amoris laetitia, «a volte sembra intenzionalmente ambigua». «Credo che la grande maggioranza dei vescovi e teologi - replica padre Strynkowski - non sia d'accordo. Il Papa infatti apre la porta alla possibilità che alcuni cattolici divorziati e civilmente risposati possano essere ammessi ai sacramenti dopo un attento discernimento. Rocco Buttiglione, uno dei più importanti interpreti dell'insegnamento di san Giovanni Paolo II, non vede contraddizioni, ma piuttosto continuità tra Familiaris Consortio e Amoris laetitia. Recentemente il cardinale Gerhard Müller ha affermato che esistono condizioni che aprono alla possibilità di ricevere i sacramenti» per chi vive in una seconda unione. I riferimenti citati da Strynkowski sono stati pubblicati a più riprese da Vatican Insider e sono oggi contenuti nel nuovo libro di Buttiglione per il quale il cardinale Müller ha scritto un ampio saggio introduttivo.

 

Quanto al rilievo di padre Weinandy secondo il quale il Papa sembra minare l'importanza della dottrina della Chiesa, il teologo Strynkowski richiama le tante omelie del Pontefice «basate sul Vangelo», che «ci richiamano a un discepolato che è rigoroso e senza compromessi. In secondo luogo, interpreto la sua critica verso coloro che rendono la dottrina un'ideologia come una sfida per noi a non isolare mai la dottrina dalla sua fonte nella misericordia di Dio rivelata in Gesù Cristo». 

 

Nella lettera di risposta viene definita «un'asserzione gratuita» che danneggia l'unità della Chiesa quella fatta da padre Weinandy sulle nomine di alcuni vescovi, «a meno che tu non sia disposto - gli scrive Strynkowski - a nominare questi vescovi e i loro presunti punti di vista contro la fede cristiana che essi tollererebbero». Nella replica viene anche contestata l'affermazione secondo la quale Francesco sarebbe risentito per le critiche, dato che è invece sempre rimasto in silenzio.

 

Infine, il teologo Strynkowski ricorda al collega il «saggio» consiglio contenuto nell'istruzione Donum veritatis sul lavoro del teologo, documento del 1990 firmato dall'allora cardinale Joseph Ratzinger e approvato da san Giovanni Paolo II, nel quale al paragrafo 30 si legge: «Se, malgrado un leale sforzo, le difficoltà persistono, è dovere del teologo far conoscere alle autorità magisteriali i problemi suscitati dall’insegnamento in se stesso, nelle giustificazioni che ne sono proposte o ancora nella maniera con cui è presentato. Egli lo farà in uno spirito evangelico, con il profondo desiderio di risolvere le difficoltà. Le sue obiezioni potranno allora contribuire ad un reale progresso, stimolando il Magistero a proporre l’insegnamento della Chiesa in modo più approfondito e meglio argomentato». 

«In questi casi - conclude il paragrafo citato - il teologo eviterà di ricorrere ai “mass-mediaˮ invece di rivolgersi all’autorità responsabile, perché non è esercitando in tal modo una pressione sull’opinione pubblica che si può contribuire alla chiarificazione dei problemi dottrinali e servire la verità».  Un'indicazione già in passato disattesa, ma che oggi appare praticamente sepolta.

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