La sua è un’inedita parabola: da sospetto terrorista ad allievo del corso di de-radicalizzazione. “Mi aspetto che questi incontri possano servire a comprendere gli errori fatti. Questo è stato il primo: abbiamo tirato le linee guida di questo percorso. Credo che sia una cosa positiva perché mi servirà per capire”. Lui è Alfredo Santamato, alias Muhammad, 42 anni, camionista di Turi, vicino Bari, sottoposto alla sorveglianza speciale per apologia al terrorismo internazionale. Sposato con una donna musulmana, padre di tre figli, un maschietto e due bambine che avrebbe voluto infibulare, ora sembra davvero pronto a cambiare.

Dell’aria spavalda e sicura dei mesi scorsi, quando imperversava sui social e nei video di alcune trasmissioni televisive non c’è più traccia. Ora è senza barba, viso pallido, abbigliamento essenziale (jeans e un pullover). Lo sguardo sembra quello di un bambino impaurito. Ad accompagnarlo alla sua prima lezione anti-jihad c’è la mamma, come fosse il primo giorno di scuola. Ci pensa lei a tenere a bada i giornalisti che provano ad avvicinarlo per intervistarlo mentre è ancora in Questura, a Bari, dove si reca prima di iniziare il corso di de-radicalizzazione voluto da Francesca La Malfa, presidente della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Bari e imbastito su misura per lui dall’Università di Bari, sulla base di una richiesta della Dda (Direzione distrettuale antimafia).

Si concede solo qualche minuto ai cronisti, sotto lo sguardo attento degli agenti della Digos e solo quando ha finito la prima lezione. Lo fa per dire “che vuole capire i suoi errori”. E’ rimasto in aula per circa due ore, dalle 16 alle 18.

Chi lo ha conosciuto mesi fa giura che è già un’altra persona. Più che una lezione, questo primo appuntamento è stato una sorta di sfogatoio. Una vera seduta psicanalitica in cui – come un fiume in piena – ha raccontato la sua vita, le sue aspirazioni represse, i sogni infranti. Avrebbe voluto sfondare nel rutilante mondo delle corse automobilistiche (era appassionato di Formula Uno e cavalli), ma a causa delle sue posizioni estremisste ha dovuto abbandonare anche il suo tir considerato dal Tribunale di Bari “una vera e propria potenziale arma nelle sue mani”. Ora prova a ricostruire la sua vita, rispettando l’obbligo di dimora e il divieto di utilizzare dispositivi con accesso a Internet (per due anni).

Lontano dalla sua famiglia accolta in una struttura protetta. Se questo percorso di de-radicalizzazione, il primo in Italia, lo porterà davvero a rivedere le sue idee, la strada tracciata da Digos, Dda e Uniba potrà essere un modello da imitare. Lui che invocava sui social una polizia religiosa per “controllare” le donne e postava su Facebook messaggi su sgozzamenti e dal forte taglio integralista, potrebbe incarnare il testimonial della giustizia che si celebra fuori dalle aule dei tribunali nel segno della prevenzione e dell’auspicato “recupero socio-culturale-giuridico”.

Privilegiato? Fortunato? A questa domanda Muhammad non vuole rispondere. Pensa solo al “suo” corso. “Ci sarà da studiare il diritto e, in particolare, come le religioni interagiscono con le leggi italiane”. Dovrà approfondire la Costituzione e la religione islamica. I temi della violenza domestica, della condizione della donna, dei maltrattamenti in famiglia, della violenza privata e delle mutilazioni rituali. E’ un percorso che vuole riabilitarlo. Se alla fine sarà “promosso”, di Muhammad, il sospetto terrorista, resterà solo il ricordo. Del primo corso di de-radicalizzazione in Italia, un’importante traccia.

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