[questo articolo è uscito su la Stampa il 3 novembre 2017]



Cosa è successo, anche in Italia, nelle reti e nei social network legati alla politica?

Dietro la denuncia di Renzi alla «Stampa» ci sono molti elementi. Facebook ancora a novembre 2016 negava di essere una «media company», quindi di essere responsabile per i contenuti, ma dal report dell’aprile 2017, «Information operations», ha ammesso che «stati e organizzazioni» (da notare il plurale) hanno agito sulla piattaforma per minare la democrazia con disinformazione organizzata. Ad aprile Facebook non nominava ancora i russi, oggi invece ci dice: 146 milioni di utenti americani sono stati esposti ignari a dark ads, pubblicità politiche o post di disinformazia russi. 146 milioni, metà dell’elettorato americano. Twitter a settembre diceva di aveva individuato solo 201 account controllati da attori russi, ora ne stima 2752. Un numero che gli analisti considerano ancora insincero. Al quale vanno aggiunti (almeno) 30 mila bot, account automatizzati russi.

Su Facebook a fine 2016 (l’anno cruciale del referendum costituzionale che ha disarcionato Renzi) esisteva osservato a valle un network pro M5S di 550 pagine, gruppi, o account, di generali, aggregati in 6 grossi cluster (grappoli tematici), e messi in contatto da una serie di mediatori, che poteva raggiungere tre milioni di italiani. Una rete che aveva un andamento non casuale, architettonico. Pestava su pattern analoghi a quelli russi: contro le elite (Pd), contro gli immigrati o apertamente xenofobi. Pro Putin. Facciamo un esempio: il Fan Club Di Maio, 74 mila membri, può prendere di mira un politico Pd come Emanuele Fiano per le sue origini ebraiche (pubblicando la sua foto accanto a quella di un maiale, «trova le differenze») scatenando nei commenti un’esaltazione antiPd, e pura violenza antisemita. Il gruppo naturalmente era «non ufficiale», non riconducibile al Movimento. Ma perché Di Maio non è stato il primo a chiedere ingenti danni, visto che usavano il suo nome?

Da La Fucina, sito della Casaleggio, sono partiti post antivaccinisti di enorme viralità che hanno aggregato un mondo, sempre in chiave anti mainstream, o antiPd. La denuncia qui è venuta dal New York Times. Altro esempio. Putin. L’uomo forte. Il sito chiave silenziefalsità.it, ritwittato nella rete pro M5S (a partire da Pietro Dettori, ex social media manager della Casaleggio, e oggi responsabile dell’Associazione Rousseau) ha al momento un editoriale di questo tenore: «Non saranno i bluff americani che impensieriranno Putin! Putin ha in mente una strategia coerente, che è facilmente comprensibile e che lui rende comprensibile - e perciò facilmente condivisibile, come dimostra il larghissimo seguito nella sua patria e in Occidente!». Di chi è questo sito? E stato creato il 29 settembre 2016 alle 9,38 da Marcello Dettori, un altro Dettori. È collegato a una pagina facebook seguitissima che embedda indifferentemente video contro «Maria Etruria Boschi» o pro Putin, con il logo de La Cosa, il canale virale del blog di Beppe Grillo, gestito dalla Casaleggio. C’è un disclaimer piccolissimo, che allude a una presunta satira; ma una volta viralizzati su Facebook, nessuno coglie questa «satira». Come quando embeddano il video di Putin che salva gli stipendi di una fabbrica russa «cacciando fuori gli attributi» contro il management corrotto. Episodi di disinformazione grave di Rt, il network del Cremlino, rilanciati nella rete pro Grillo, provocarono nell’ottobre 2016 una crisi diplomatica seria tra governo italiano e Cremlino.

Su Twitter una folta schiera di account pro M5S fecero diffamazione seriale contro i leader Pd e il Quirinale nella campagna referendaria. Alcuni account sono stati cancellati (per esempio la celebre Beatrice Di Maio). Altri sono spariti e poi riapparsi, mutati (per esempio l’account teladoiolanius). Non conta l’identità materiale del gestore, che solo i magistrati possono scoprire, l’anonimato peraltro consente a tanti attori, trasversali, di agire di nascosto. La rete in cui erano iscritti era però pro M5S e non casuale, come le dinamiche del loro «engagement». A volte, chat grilline su whatsapp li coordinano. Questi account Twitter erano ghost uno dell’altro, ossia condividevano dati e metadati (like, retweet, retweet dei retweet) in maniera matematica. Da allora qualcosa è stato scoperto, e ora c’è più cautela da parte di quegli attori. Abbiamo chiesto ai dirigenti attuali o di quel periodo di Facebook e Twitter, di commentare per questo articolo, ci hanno rimandato ai comunicati ufficiali.