«La pace è il bene più grande e il nostro rifiuto della guerra, di ogni guerra è chiaro e deciso. Per questo siamo contrari a cambiare l’articolo 9 della Costituzione, e continueremo a dirlo al governo e all’opinione pubblica, di comune accordo con i leader delle altre comunità religiose in Giappone»: è chiara la posizione della Chiesa nipponica nelle parole dell’arcivescovo Joseph Mitsuaki Takami, alla guida dell’arcidiocesi di Nagasaki e presidente della Conferenza episcopale del Giappone. Il messaggio arriva forte e chiaro al primo ministro giapponese Shinzo Abe, reduce da una schiacciante vittoria elettorale che gli consente di governare il paese con un’ampia maggioranza parlamentare (312 seggi su 465 per il suo Partito liberal-democratico).

Secondo gli osservatori, Abe, grazie al saldo controllo del Parlamento, potrà realmente mettere mano alla riforma costituzionale che predica da tempo, modificando il controverso articolo 9 della Carta che, promulgata nel 1946, dopo il secondo conflitto mondiale, impone alla nazione la rinuncia alla guerra e al mantenimento di un esercito fisso. Indicazione, questa, ritenuta da Abe desueta e fin troppo «pacifista», mentre in Asia orientale la minaccia dei missili balistici nordcoreani tiene tutti col fiato sospeso. La crisi internazionale che vede protagonista Pyongyang (e i lanci di missili che sorvolano il territorio nipponico) sembrano aver determinato la vittoria per Abe e la sua linea militarista, proprio mentre il consenso di cui godeva il primo ministro sembrava in declino.

«Tutti i vescovi concordano nello scoraggiare quel cambiamento: lo abbiamo espresso più volte anche in documenti ufficiali», ricorda Takami. «Nella crisi in corso in Asia orientale il rischio è una sfrenata corsa agli armamenti, che anche il nostro Paese sta alimentando. Va detto, poi, che le maggiori industrie di armi sono negli Stati Uniti, attori interessati in questa crisi, mentre cresce il commercio di armi tra Giappone e Usa», osserva il Presule.

È questo lo scenario in cui il governo Abe ha in mente di modificare la Costituzione: già nel 2015, con una mossa che segnava una svolta nella politica estera e di difesa, il Parlamento giapponese ha approvato una nuova legge in materia di sicurezza che consente di impiegare le forze armate in missioni militari all’estero. Un cambiamento netto rispetto alla Carta costituzionale che vietava espressamente l’uso delle forze armate nipponiche all’estero.

«Quel provvedimento è stato preparatorio e ha costituto un primo passo in quella direzione», spiega l’Arcivescovo. La Chiesa nipponica definì «assolutamente inaccettabile che un esecutivo decida di mettere in atto una reinterpretazione che va contro un principio fondamentale della Costituzione», ricordando proprio l’articolo 9 della Carta e difendendo la «rinuncia alla guerra». Grazie a questa scelta, «il Giappone non ha causato morti in guerra, giapponesi o stranieri, nel corso di questi anni», rileva Takami.

E mentre in Giappone rivive una «seconda giovinezza» l’enciclica di Giovanni XXIII «Pacem in terris», il presule di Nagasaki rileva che «l’articolo 9 della Costituzione è un tesoro di cui il Giappone va orgoglioso. Rispecchia l’insegnamento di Gesù Cristo sull’amore, sulla pace, sul rispetto incondizionato della vita. È nostra responsabilità fondamentale fare il possibile per preservarlo, portando nel dibattito politico, in quanto fedeli e cittadini, la nostra convinzione che la pace è il supremo bene».

I cattolici del Giappone sanno di avere «una vocazione speciale nell’essere operatori di pace», non sulla base di una ideologia politica ma come una questione di umanità: consapevolezza, questa, naturalmente influenzata dagli orrori inflitti dalle armi nucleari a Hiroshima e Nagasaki, e da quei 20 milioni di morti che si contarono in Asia orientale, tragica eredità della seconda guerra mondiale.

Certo, la Chiesa cattolica è una esigua minoranza di 500mila battezzati «ma è stimata dallo stato, dalle altre religioni, dalla società», nota Takami. E, nel cammino per superare antichi pregiudizi e diffidenze, «è importante far conoscere il cristianesimo, religione che oggi tanti cittadini ignorano», dice. «Spesso, per la mentalità comune – continua – nuovi battezzati possono nascere solo in famiglie cristiane, dato che la religione ha una tradizione familiare. Noi sappiamo, però, che la conversione è opera della grazia, è opera di Dio. Per questo dico ai fedeli che è nostro compito dare occasione alla popolazione giapponese di toccare il cristianesimo, testimoniando il Vangelo con la vita. Oggi siamo liberi di annunciare il Vangelo ma è difficile che i cristiani lo facciano, anche per una sorta di timidezza dovuta alla scarsa conoscenza della propria fede. Di recente il cardinale Fernando Filoni ha visitato il Giappone e ci ha ricordato che ogni battezzato è un missionario».

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