«Dopo trent’anni di guerra, di armi, morte e dolore, il popolo è stanco, desidera solo vivere in pace. I giovani sono decisi a voltare pagina, a costruire un futuro diverso per il Ciad: credono nella convivenza pacifica e lavorano insieme – cristiani e musulmani – per raggiungere questo obiettivo». Con queste parole inizia il suo racconto padre Filippo Ivardi, 43 anni, missionario comboniano. Dal 2013, dopo tre anni trascorsi nel sud, risiede ad Abeche, la terza città più grande del Ciad (200.000 abitanti), situata nel nord-est del Paese. Insieme a un confratello, e con l’ausilio di due suore della Congregazione dei Sacri di Gesù e Maria, guida una missione che comprende un territorio vastissimo (211.000 chilometri quadrati tra il Sahel e il Sahara) nel quale vi sono una ventina di comunità cattoliche: le due più lontane distano da Abeche 500 chilometri e occorrono due giorni per raggiungerle viaggiando su strade sterrate e sabbiose.

Le religioni

Il Ciad ha circa 15 milioni di abitanti: il 50% sono musulmani, il 35% cristiani (in crescita rispetto a qualche anno fa) e il 15% seguaci della religione tradizionale. Nel nord del Paese, tuttavia, i fedeli islamici sono la stragrande maggioranza (oltre il 90%) mentre i cristiani (cattolici e protestanti) costituiscono solo l’1% della popolazione. I fedeli che fanno capo alla missione comboniana sono circa mille ad Abeche e alcune decine nelle altre comunità.

Un Paese controcorrente

In Ciad vi è libertà di culto e il presidente della Repubblica, Idriss Déby Itno, in carica dal 1990, tiene molto alla laicità dello stato, sottolinea padre Filippo: non sono posti ostacoli né alla predicazione né all’edificazione di nuovi edifici di culto. «Purtroppo negli anni scorsi vi sono stati alcuni attacchi alle cappelle cristiane, ma questi atti di vandalismo – condannati dagli stessi musulmani – sono stati duramente perseguiti e puniti: ormai sono sempre più rari. Come dicevo, la popolazione del Ciad, prostrata dalla guerra, ambisce alla pace e a una coesione sociale autentica. I rapporti tra i fedeli delle due religioni sono generalmente buoni: in tema di dialogo interreligioso questo Paese sta andando controcorrente rispetto a quanto accade in altri aree del mondo dove tra le due comunità vi sono molte tensioni. Noi missionari siamo stimati e benvoluti, la popolazione di fede islamica ha compreso le nostre intenzioni, ha capito il nostro desiderio di prenderci cura di tutti in modo gratuito e disinteressato».

I rapporti con le autorità musulmane

Anche con le autorità civili e religiose musulmane le relazioni sono cordiali e serene, prosegue padre Filippo. «Ci incontriamo periodicamente e festeggiamo insieme le rispettive ricorrenze religiose. Sono anche nate sincere amicizie: ad esempio, lo scorso anno ho vissuto un paio di settimane, durante il Ramadan, a casa dell’imam di Tine che ha voluto ospitarmi sapendo della mia presenza in città: siamo infatti diventati amici. Questo legame sta contribuendo a consolidare le relazioni tra i nostri fedeli».

Il Foyer des Jeunes

La missione di Abeche è frequentata da molti giovani cattolici, gran parte dei quali giunti qui al nord per frequentare l’università o lavorare. «Noi missionari – racconta padre Filippo – non solo seguiamo questi ragazzi prestando particolare cura alla loro formazione cristiana, ma ci impegniamo a promuovere per loro e con loro quella coabitazione pacifica tra cristiani e musulmani di cui tutti, in Ciad, sentono la necessità e comprendono il valore». Nella missione, luogo privilegiato per l’incontro con i musulmani è il Foyer des Jeunes, un centro culturale – con tre biblioteche, sale per conferenze, corsi di informatica e proiezioni video – dove i giovani cristiani e musulmani si incontrano per stare insieme, fare amicizia e confrontarsi sui grandi temi della vita. «Si è anche costituito un gruppo, denominato “Donnons nous la main” (“Diamoci la mano”) che si è posto quale fine la conoscenza della religione dell’altro: i giovani seguono programmi di formazione sulla Bibbia e sul Corano e da tre anni organizzano “la giornata della coabitazione pacifica”, una manifestazione per le famiglie della città che prevede conferenze, dibattiti, spettacoli teatrali e musicali, giochi per i bambini. Alcuni ragazzi, inoltre, partecipano alla settimana di formazione organizzata nella capitale dalla piattaforma interreligiosa sempre sul tema della coabitazione pacifica».

I progetti della Caritas

In Ciad, che continua ad essere uno dei Paesi più poveri del mondo, i padri comboniani sono molto impegnati in campo sociale ed educativo. Attraverso la piccola Caritas di Abeche – fondata tre anni fa – hanno anche promosso alcune iniziative in collaborazione con associazioni musulmane: «Si lavora bene insieme e i risultati sono molto incoraggianti» dice padre Filippo. Un progetto che sta riscuotendo successo – organizzato con un’associazione che riunisce donne musulmane in difficoltà (perché vedove o abbandonate dal coniuge) – è quello della pressa per l’olio di arachidi: le signore coinvolte entrano a far parte di una piccola impresa, imparano a produrre l’olio che poi vendono nei mercati riuscendo così ad assicurare il sostentamento ai loro figli. Quest’anno inoltre, insieme a un’associazione femminile musulmana, è stato avviato un progetto che prevede corsi di cucito per le donne colpite da varie forme di disabilità.

Le scuole e lo spirito fraterno

I missionari comboniani gestiscono anche tre asili e sei scuole (elementari e medie) nelle quali allievi e insegnanti sono cristiani e musulmani: «La convivenza tra tutti è serena», osserva padre Filippo, che aggiunge: «Nelle nostre scuole teniamo molto alla formazione umana dei ragazzi, ci impegniamo affinché vivano in spirito fraterno facendo propri quei valori nei quali tutti gli esseri umani possono riconoscersi: il rispetto dell’altro e della sua della religione, l’onestà, l’accoglienza, il perdono, l’amore reciproco».

Il collaboratore musulmano

Fra i collaboratori di padre Filippo vi è Ahmat Ousmane Malik: 45 anni, musulmano, sposato e padre di 12 figli, da 25 anni lavora alla missione di Abeche: «Sono contento di prestare servizio qui», dice: «Ho stretto legami di amicizia con molte persone di fede cristiana e il mio rapporto con i padri comboniani – fondato su un rispetto profondo – è ottimo. Non sono mai stato forzato a svolgere incarichi che fossero contrari alla mia religione o alle mie convinzioni. Più in generale posso dire che i miei personali rapporti con i cristiani sono molto buoni, basati sulla fiducia e il rispetto reciproci». Riflettendo sulla situazione del Ciad, afferma: «Nonostante permangano ancora incomprensioni, diffidenze e pregiudizi, le relazioni tra cristiani e musulmani sono generalmente buone. Sono convinto che la convivenza pacifica tra i fedeli delle due religioni sia un fattore essenziale per lo sviluppo di questo Paese: nessuna attività può sorgere e prosperare senza questa intesa operosa. Sono inoltre convinto che le persone autenticamente religiose (di religioni diverse) che vivono e lavorano insieme nella concordia possano aiutare il mondo a comprendere davvero il dolore dei poveri e a coltivare in modo serio il pensiero di una vita oltre la morte».

I commenti dei lettori