L’Accademia cinese delle Scienze sociali accende i riflettori sui missionari cattolici che dalle lontane terre europee raggiungevano la Cina per annunciare il Vangelo di Cristo. E non li dipinge come quinte colonne degli imperialismi occidentali. Al contrario, li esalta come «amici» del popolo cinese, disposti a dare la vita per proteggere donne e bambini dalle violenze degli invasori giapponesi, quando l’esercito del Sol Levante provò a soggiogare la Cina. Una attestazione a cui non sembra estraneo l’interesse destato nello stesso presidente Xi Jinping dai racconti sui missionari martiri degli anni Trenta del secolo scorso.

Il riconoscimento del bene fatto dai missionari cattolici al popolo cinese è arrivato da una conferenza organizzata a fine ottobre dal massimo centro di ricerche storiche e sociali della Repubblica popolare cinese, in occasione dell’ottantesimo anniversario del cosiddetto “Massacro della chiesa di Zhengding”, dove nel 1937 otto missionari europei che assistevano migliaia di profughi furono ammazzati dai soldati giapponesi. Anche l’agenzia Fides, legata alla Congregazione vaticana di Propaganda Fide, ha messo rilievo portata e risvolti del convegno: «Dagli accademici del think tank del governo di Pechino giunge l’attestazione che quei missionari cattolici furono mossi a tale gesto di gratuita oblazione di sé non da un vago sentimento umanitario o dalla scelta di voler fare gli eroi, ma solo dalla loro fede cristiana».

Il martirio, la fede e Xi Jinping

La vicenda messa al centro del simposio – organizzato anche grazie all’Istituto culturale Faith, diretto dal sacerdote cattolico John Baptist Zhang – rappresenta una delle testimonianze più emblematiche della dedizione al popolo cinese manifestata dai missionari cattolici durante la seconda guerra sino-giapponese: è la storia del vescovo di origine olandese Frans Schraven e degli otto missionari provenienti dall’Europa, uccisi insieme a lui dai soldati giapponesi, per aver tentato di proteggere le 200 ragazze cinesi che i militari dell’esercito invasore volevano ridurre a schiave sessuali. Quella ricordata dagli storici come “la strage della chiesa di Zhengding” fu perpetrata il 9 ottobre 1937: il vescovo Schraven, dal 1921 vicario apostolico di Zhengding (oggi Shi Jiang Zhuang), e i suoi compagni di martirio furono bruciati vivi dagli occupanti giapponesi. Oltre alle duecento ragazze che i soldati nipponici reclamavano come “donne di conforto”, il vescovo Frans e i suoi compagni avevano accolto e difeso dalle violenze dei militari alti migliaia di sfollati cinesi, che avevano trovato rifugio presso la chiesa.

Gli accademici, gli ecclesiastici, gli storici e i rappresentanti politici presenti alla conferenza – riferisce ancora Fides - si sono mostrati concordi nel riconoscere il contributo positivo che la Chiesa cattolica in Cina offrì alla nazione e al popolo cinese durante la guerra con gli invasori giapponesi. Alcuni interventi hanno anche esaltato in termini più generali l’apporto fornito dai missionari cattolici allo sviluppo della società cinese, soprattutto nel campo educativo, culturale e sanitario. «La nostra valutazione dei missionari», ha rimarcato il professor Li Qiu Ling, dell’Università del Popolo di Pechino, «deve tornare a considerare la loro identità e condizione missionaria. La ragione profonda per cui non si sono tirati indietro, in quel tempo tragico che la Cina si trovava ad affrontare, sta proprio nella loro fede». Mentre il professor Liu Guo Peng, ricercatore dell’Istituto di studi sul cristianesimo dell’Accademia e moderatore della Conferenza, ha reso noto che nel 2013, durante il lavoro di catalogazione dei documenti conservati nell’Archivio di Propaganda Fide, ha studiato i documenti che attestano il martirio del vescovo Frans e dei suoi compagni.

Nel corso della conferenza è stato anche riferito che il sacrificio di vescovo e dei suoi compagni in Cina era stato raccontato al presidente cinese Xi Jinping in occasione della sua visita in Olanda, nel marzo 2014. E sono state applicate anche ai martiri di Zhengding le parole di gratitudine che il presidente cinese ha riservato nei suoi discorsi ufficiali a tutti coloro che durante la seconda guerra mondiale «hanno sacrificato la loro vita per il Paese, per la nazione e per la pace». Nell’ottobre 2014, pochi mesi dopo la visita in Olanda di Xi Jinping, il sostegno dei missionari cattolici alla popolazione cinese durante l’invasione giapponese era stato già posto al centro di un convegno organizzato presso il seminario dell’Hebei con il concorso di istituzioni accademiche e culturali come l’Università Fudan di Shanghai e Università Normale dell’Hebei.

Uno sguardo oggettivo sull’opera dei missionari in Cina

L’opera dei missionari cattolici in Cina, presa in considerazione anche dalla conferenza cinese delle Scienze sociali, è divenuta in passato terreno di polemiche e iniziative controverse. Nell’anno 2000, anche tanti missionari stranieri finirono nel tritacarne della polemica cinese col Vaticano, in occasione della canonizzazione dei 120 martiri di Cina, elevati alla gloria dell’altare da Giovanni Paolo II il 1° ottobre di quell’Anno giubilare. La data scelta per la canonizzazione coincideva con il giorno della festa nazionale della Repubblica popolare cinese. E nell’intero processo di canonizzazione si era anche fatto notare l’attivismo della Chiesa e delle istituzioni di Taiwan (con l’ambasciatore taiwanese presso il Vaticano in prima fila alla cerimonia di canonizzazione). I due dettagli alimentarono l’irritazione del governo di Pechino, che attaccò la canonizzazione come un’operazione politica, un “complotto” anti-cinese. Nella polemica, missionari e sacerdoti martiri furono denigrati come agenti del colonialismo occidentale, autori di «efferati delitti» contro il popolo cinese.

Adesso, la conferenza sul massacro della chiesa di Zhengding conferma che istituzioni culturali cinesi e istituzioni ecclesiali possono confrontarsi e provare a condividere uno sguardo pacato e obiettivo anche alla storia delle missioni cattoliche in Cina. Del resto, anche la storiografia cattolica riconosce senza censure che tra ’800 e ’900 il fervore apostolico in Cina dovette fare i conti con le strategie imperialiste dei Paesi occidentali, intenti a spartirsi il bottino di un Impero al collasso. Mentre già allora i missionari e gli uomini di Chiesa più avveduti non mancavano di denunciare quanto fosse soffocante, per l’azione apostolica, la stretta delle potenze imperialiste. Celso Costantini, che fu il primo delegato pontificio in Cina, e per il quale è appena iniziato il processo di beatificazione, già nel 1920 tracciava un crudo bilancio dei decenni in cui la missione era divenuta per le potenze occidentali una strumento di espansione coloniale: «I cinesi – riconosceva Costantini - subirono la formidabile serie di perdite e di umiliazioni per opera delle missioni cristiane, e videro le missioni strettamente connesse con la politica aggressiva delle nazioni estere (...). Avvenne che governi europei cacciavano i religiosi dal proprio Paese, negando loro il diritto comune a tutti i cittadini, ma furono estremamente solleciti di proteggerli nelle missioni in Cina (...). Per virtù dei trattati imposti alla Cina con la forza, e specialmente per l’esenzione degli stranieri dalla giurisdizione cinese, le missioni finivano col costituire un imperium in imperio».

I commenti dei lettori