La Puglia brucia carbone da 40 anni. Qui c’è l’Ilva, il più grande stabilimento siderurgico d’Europa, e qui c’è Cerano, la centrale Enel di Brindisi. Insieme rappresentano il 90 per cento della produzione a carbone italiana.

L’addio al carbone («decarbonizzazione», si dice usando un brutto termine) entro otto anni è uno dei traguardi della nuova Sen, la Strategia Energetica nazionale del governo che prevede investimenti per 175 milioni di euro fino al 2030.

La Puglia esulta, ma solo a metà. Già, perché l’obiettivo del governo è arrivare a carbone zero nel 2025 nella produzione di energia elettrica. Resta quindi aperta la questione Ilva. «Se non si dice addio al carbone nella più grande industria siderurgica d’Italia, proprio ora che sarà ristrutturata, cogliendo il doppio vantaggio economico e ambientale, la decarbonizzazione in Puglia resterà un’incompiuta». Insomma, senza la decarbonizzazione dell’Ilva, la strategia energetica nazionale non ha senso. «Il governo sia coerente e passi dalle parole ai fatti» diceva ieri da Bonn il presidente della Regione, Michele Emiliano, ospite a Bonn del Forum internazionale COP23 sul cambiamento climatico.

In Puglia c’è davvero voglia di dire basta. Lo dicono i cittadini, gli amministratori locali, lo dicono gli ambientalisti: la speranza è che ora si acceleri. Occorre recuperare i ritardi accumulati. Ritardi del governo, ma anche ritardi della Regione.

«L’addio al carbone? Che si inizi e si faccia anche presto. Brindisi e Taranto – commenta Francesco Tarantini, presidente Legambiente Puglia - aspettano una svolta da troppo tempo. Dieci anni fa il Piano Energetico regionale prevedeva una riduzione del 5 per cento dell’uso del carbone, ma alla fine nulla è cambiato. In Puglia, regina delle fonti rinnovabili, è sacrosanto dire addio al carbone».

Maurizio Portaluri è un medico di Brindisi, anima dell’associazione Salute Pubblica e direttore del sito salutepubblica.net. «Il carbone sparirà? Bene. Quello che non sparirà sono i suoi effetti, l’eredità che ci lascia». Nonostante studi e molte battaglie è difficile individuare eventuali nessi tra l’inquinamento, le malattie, i tumori, le malformazioni. «Cosa resta? La svalutazione dei terreni, il depauperamento agricolo. Qui restano i cocci», è la sintesi di Portaluri che conclude: «Questa produzione industriale non interessa più. A Brindisi la decarbonizzazione di fatto è già in atto. La Centrale Nord è stata chiusa».

«Sono mille i lavoratori che gravitano nella Centrale Cerano di Brindisi. Non avranno problemi i 450 dipendenti Enel. Ma cosa ne sarà dei 550 che lavorano nell’indotto?». Riccardo Rossi, del movimento Brindisi Bene Comune lancia una proposta concreta: «Possiamo risolvere solo se sarà avviato subito un confronto tra sindacati, enti locali e azienda: Cerano potrebbe rientrare nel Piano E-Future di Enel dove è prevista la riconversione di 23 centrali». Nel primo semestre 2017 a Brindisi c’è stato un aumento di cassintegrati del 144 per cento. La disoccupazione giovanile supera quota 60 per cento. «In un territorio in sofferenza come il nostro l’Enel deve fare un percorso sulle rinnovabili e garantire la continuità del posto di lavoro ai dipendenti», dice Antonio Macchia, segretario generale della Cgil di Brindisi.

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