Una coalizione dai centristi alla sinistra comprendendo Campo Progressista, i Radicali, i Verdi, i Socialisti e l’Idv. È lo schema della coalizione «larga» che Matteo Renzi mette sul piatto della direzione, dicendosi pronto a non porre «veti e paletti» e a scrivere «una pagina bianca» sia nel programma sia nel metodo di una leadership non più «solitaria». Ma senza «abiure» dei Mille Giorni, anzi rivendicando quanto fatto pur nell’ammissione che «possiamo fare meglio» sul jobs act come sulle politiche migratorie. Una linea che convince la minoranza di Michele Emiliano ma non quella di Orlando, che si astiene, e che viene respinta come «chiacchiere» da Pier Luigi Bersani.

Matteo Renzi ha fretta di andare a votare e ha cerchiato in rosso la data del 4 marzo, coma fa capire ai suoi interlocutori. Per il leader la consapevolezza della «campagna elettorale alle porte» comporta uno «sforzo unitario» del Pd e non analisi ex-post sull’esito delle elezioni siciliane, di cui non fa cenno nella sua relazione in direzione. La partita, è convinto l’ex premier, si giocherà tra il Pd che, scommette, sarà «primo gruppo parlamentare», e la destra perchè M5S non è competitivo: sia perchè «sovrastimato nei sondaggi sia perchè con il Rosatellum se non raggiungi almeno il 30 per cento nei collegi» sei fuori dai giochi. Certo, è consapevole il leader dem, una coalizione larga è importante nella battaglia collegio per collegio. E prende l’impegno a scrivere «una pagina bianca» sedendosi al tavolo dell’alleanza. Ma guardare al futuro non vuol dire per Renzi rinnegare il passato, «sarebbe assurdo, illogico e inspiegabile».

Quanto basta per capire che l’unità con gli ex di Mdp, che chiedono discontinuità a partire dalla sconfessione del jobs act, non esistono, è una chimera. «Le chiacchiere stanno a zero, adesso ci vogliono dei fatti», chiude Pier Luigi Bersani per il quale «qualche milione di italiani» non è d’accordo con le rivendicazioni dell’ex premier. Ma per oggi il segretario, che in realtà non si fa grosse illusioni nel recuperare Bersani e D’Alema, sparge miele: «C’è più sintonia con Mdp che con gli avversari storici, non solo perché governiamo insieme in 14 regioni ma perché molte cose fatte le abbiamo fatte insieme». E comunque non sarà lui a sbattere la porta: «Chi vuole rompere lo faccia, non troverà sponde nel Pd».

Niente abiure neanche sulla politica migratoria, come chiesto da Emma Bonino che vuole la cancellazione dell’accordo sulla Libia. Renzi difende Minniti: «Il calo degli sbarchi c’è stato, 50mila in meno rispetto allo scorso anno poi sappiamo che c’è la grande scommessa sulla Libia e l’Africa». Quanto alla richiesta arrivata anche da Giuliano Pisapia, approvare subito ius soli e biotestamento, per il segretario dem il tema dei diritti «va tolto dal tavolo» delle alleanze: e infatti non se ne fa parola nel documento finale. «Cercheremo di farlo rispettando ciò che il governo e la coalizione vorranno fare», dice. Così come il niet del leader di Cp a intese con pezzi del centrodestra, leggi Ap, non piace all’ex premier che considera «cruciale» che moderati e centristi non tornino all’ovile da Berlusconi.

Le aperture di Renzi, che chiede una mano a tutti nel Pd, convincono Dario Franceschini, da giorni impegnato a ricucire dentro il partito, e Michele Emiliano che dopo una lunga trattativa trova conferma delle sue 10 richieste nell’intervento del segretario. Andrea Orlando, invece, insieme a 14 della sua area, non considera abbastanza l’impegno di Renzi, che vede il Pd «in un vicolo cieco», costretto dal Rosatellum a fare alleanze che al momento non ci sono. Il Guardasigilli, che alla fine ha preferito non mettere ai voti un suo odg, con la sua astensione si impegna a vigilare perchè il Pd ora «lavori pancia a terra, 24 ore al giorno» a fare una coalizione «a vocazione maggioritaria».

Ma è vero che, al di là dell’astensione di Orlando, oggi il Pd ha preferito evitare rese dei conti nella consapevolezza che la partita è difficile anche con il partito unito. Nei prossimi giorni Renzi torna sul treno per un tour che considera fondamentale per creare una connessione con il paese. A Roma, invece, restano al lavoro i pontieri, incluso Piero Fassino che, proprio in virtù del suo ruolo di ex segretario dei Ds, cercherà di ricomporre la rottura con Bersani, D’Alema e la sinistra.

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Ecco il documento unitario votato dalla Direzione del Pd. Nessun voto contrario, una quindicina gli astenuti della corrente di Orlando.

La direzione nazionale del Partito Democratico riunitasi oggi lunedì 13 novembre:

- udita la relazione del Segretario, la approva

- conferma la volontà di sviluppare un confronto aperto sui contenuti della proposta programmatica per la nuova legislatura, a partire dai temi prioritari del lavoro, dell’occupazione e della lotta alla precarietà, della scuola e della formazione, della protezione sociale e dell’equità, dell’estensione dei diritti civili e di cittadinanza, della riduzione ulteriore della pressione fiscale per imprese e famiglie, dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile e del rilancio del progetto europeo;

- assume l’impegno unitario di tutto il Partito, aggiornandosi sugli esiti del percorso, a verificare la disponibilità di forze di centro e di sinistra, europeiste, civiche, moderate e ambientaliste per la costruzione di un’alleanza elettorale su base programmatica, alternativa a destra e cinque stelle, per le prossime elezioni politiche.

- si impegna a sviluppare un lavoro teso a migliorare ulteriormente la legge di bilancio in discussione in Parlamento con particolare attenzione a rafforzare le misure per una crescita inclusiva e sostenibile

Firmato Martina-Guerini

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