Immagini della Vergine di Lujan, sottomarini disegnati da bimbi e scritte di speranza sulle bandiere argentine. I muri della base navale di Mar del Plata si sono trasformati in un altare di preghiera, in attesa del miracolo. Questo porto era la tappa finale del sommergibile San Juan, salpato dalla Terra del Fuoco, sparito da mercoledì scorso. Ogni minuto che passa, all’interno del sottomarino si consuma ossigeno e svanisce una parte di speranza.

Nella corsa contro il tempo che tiene l’Argentina e il resto del mondo con il fiato sospeso cresce l’angoscia. «Sento che mio fratello tornerà – ha detto in lacrime a La Nacion Elena Alfaro, sorella del radarista Cristian David Ibáñez - Ma ho anche la sensazione che quest’attesa si stia trasformando in una veglia funebre, aspettando che trovino i cadaveri».

«La fase delle ricerche è critica», ha ammesso nel pomeriggio Enrique Balbi, portavoce della Marina. È stato lui a smentire le informazioni circolate qualche ora prima su segnali - raggi bengala di emergenza avvistati al largo della penisola Valdés e «macchie di calore» rilevate dalle unità aeree Usa - che avevano illuso le famiglie dei 44 marinai. Poi l’ennesima doccia fredda. «Non abbiamo ancora nessuna traccia». Il mistero del San Juan è profondo come gli abissi di cui il sottomarino potrebbe essere prigioniero.

Ad aggravare la situazione, Balbi rivela che qualche ora dopo gli ultimi contatti tra il sottomarino San Juan e la Marina militare argentina fu percepito e registrato uno strano rumore proveniente dalle acque in cui navigava l’imbarcazione. Interrogato sulla possibilità che il rumore fosse un’esplosione, Balbi ha precisato che «non abbiamo informazioni al riguardo e non formuliamo nessuna congettura».

Le condizioni meteo, proibitive nei giorni scorsi con onde fino a 6 metri, sono migliorate. Decine di sofisticati mezzi - aerei, navi e droni sottomarini - arrivati da Cile, Brasile, Usa e Gran Bretagna stanno setacciando l’Atlantico australe. Ma senza risultati. Da quando il San Juan è sparito è trascorsa una settimana esatta. Il limite massimo, secondo alcuni esperti, per le riserve di ossigeno. «Non esiste un valore preciso, dipende da molte circostanze», ha commentato Enrique Balbi, ammettendo comunque che «la situazione dell’ossigeno ci preoccupa». In questi casi gli equipaggi sono addestrati a rallentare la respirazione per ritardare il consumo di aria. Ciò che ancora sorprende gli esperti è che nessuno dei protocolli o dispostivi di emergenza sia stato attivato dopo l’avaria. Un giallo.

Intanto alcuni familiari dei marinai hanno accusato il presidente Macri per le condizioni del sottomarino – vecchio di 33 anni, ma comunque il più nuovo della flotta nazionale – e per la scarsità degli investimenti nel settore della Difesa (l’Argentina è in fondo alla lista dell’America Latina).

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