Sono oltre sette su dieci le aziende che hanno dipendenti stranieri in Italia. Una presenza diffusa, che non sempre viene gestita come una risorsa. Secondo la ricerca appena realizzata da Aidp, la principale associazione dei direttori del personale in Italia, sulle 45 nazionalità diffuse censite, quelle più presenti sono la Romania (30%), l’Albania (26%), il Marocco (24%), la Polonia (15%), la Cina (11%). Il 48% svolge mansioni esecutive, il 25% impiegatizie, l’11% sono tecnici altamente specializzati, il 10% quadri e l’8% sono dirigenti. La maggior parte dei dipendenti è di religione cristiana, il 97%, mentre il 22% professa l’islam, l’11% il buddismo, il 6% sono testimoni di Geova, il 4% l’induismo e il 4% l’ebraismo, seguono con l’1% ciascuno il taoismo e lo scintoismo. Alla domanda i direttori del personale hanno dato una risposta multipla.

L’80% delle aziende non ha in essere politiche specifiche di gestione delle differenze culturali, religiose ed etniche. Per il 61% delle aziende che hanno risposto di non avere politiche specifiche la ragione è nella mancanza di problemi a riguardo, per l’8% perché non ci sono risorse e per un altro 6% perché ci sono altre priorità.

Le maggiori difficoltà riguardano le lingue (55%), l’incomprensione tra i colleghi (65%), il differente significato del concetto di lavoro (49%), le esigenze alimentari (47%). Per contro, la pausa per la preghiera (84%) oppure generiche discriminazioni (70%) non sono considerati aspetti critici. In generale, tuttavia, prevale una logica di omogeneizzazione nelle aziende, in cui la gestione delle differenze non è ancora adeguatamente utilizzata sia in chiave di sviluppo del business sia, per esempio, rispetto all’accesso a nuove mercati esteri.

«Nel contesto italiano è ancora presente una visione parziale in merito alle differenze culturali, etniche e religiose - spiega Isabella Covili Faggioli, Presidente AIDP - Il fatto che la differenza sia poco riconosciuta, o non volontariamente ricercata, non significa che essa non sia presente, che non debba essere gestita o che non possa rappresentare una risorsa per l’organizzazione. La diversità è un valore di cui ogni organizzazione ha bisogno e di cui occorre prendersi cura, in modo che tutte le persone possano esprimere al massimo le loro competenze, permettendo all’azienda di vincere le sfide e le competizioni che l’aspettano».

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