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Hinkley Point, la centrale nucleare della discordia

Hinkley Point, la centrale nucleare della discordia
La centrale atomica di Hinkley Point, nel Regno Unito, è il più costoso progetto infrastrutturale al momento in essere in Europa, dal costo di oltre 22 miliardi di euro. Tra Brexit e coinvolgimento della Cina, un affare molto complicato. Con un video di Luigi Politano
2 minuti di lettura

Quella dei due nuovi reattori della centrale nucleare di Hinkley Point, sulla costa occidentale dell'Inghilterra, è una saga apparentemente infinita. La sua genesi risale ai tempi del governo laburista guidato da Tony Blair, deciso a rivitalizzare l'agonizzante comparto dell'atomo britannico, affossato dalle iper-liberalizzazioni di Margaret Thatcher negli anni Ottanta. Curioso come siano stati due compagni di partito della Lady di ferro, David Cameron e Theresa May, a sdoganare con fatica il progetto. Dopo una miriade di rinvii, l'ok definitivo è giunto solo lo scorso anno, sebbene i lavori proseguano con lentezza, tanto che la data di consegna dell'opera è slittata dal 2023 al 2025.

Hinkley Point si prospetta come una delle opere infrastrutturali europee più costose di sempre, visto che il conto finale dovrebbe ammontare a 20 miliardi di sterline (oltre 22 miliardi di euro). Circa un terzo dei fondi arriveranno dalla China General Nuclear Power Corporation, partner in questa impresa della francese EDF (84,4 delle quote in mano statale) che sta costruendo e poi gestirà la centrale e che già ha in capo il reattore esistente ma destinato al

decommissioning
.

Il coinvolgimento del governo cinese ha sollevato più di una perplessità anche all'interno dello stesso governo della Regina. Non è un caso che si sia parlato di un

security test
”rafforzato« per gli investimenti stranieri nelle grandi infrastrutture. Insomma, per gli altri nuovi progetti di impianti nucleari come Sizewell e Bradwell ci saranno delle linee guida più stringenti, ma ciò non esclude che i cinesi possano giocare un ruolo di primo piano anche in quel caso.

Il ritardo dell'approvazione di Hinkley Point, arrivata dopo il G20 tenutosi nel 2016 in Cina, aveva indispettito non poco Pechino, la cui entrata nel progetto era ritenuta di importanza vitale. L'EDF ha debiti per oltre 37 miliardi di euro e senza un consistente sostegno esterno non sarebbe stata in grado di accollarsi la realizzazione dell'opera.

Non che aiuti non fossero arrivati già dal governo Cameron, che nell'ottobre del 2013 aveva accordato all'EDF garanzie su prestiti fino a un massimo di 17 miliardi di sterline e aveva stabilito uno

strike price
a palese vantaggio dell'impresa. Per un periodo di 35 anni dall'entrata in funzione dell'impianto, ai transalpini si assicurerebbe un prezzo di vendita dell'energia di 92,5 sterline a megawatt per ora. Quasi il doppio del costo attuale. L'importo andrà chiaramente attualizzato in relazione al tasso di inflazione, ma ciò che rileva dell'intero meccanismo contrattuale è che se l'EDF non potrà distribuire l'elettricità a quel prezzo la differenza ce la metteranno gli utenti con una sovrattassa in bolletta. La logica che sottende questa apparente clausola capestro è che fra circa un decennio i combustibili fossili saranno talmente cari che il nucleare converrà, anche a quelle cifre apparentemente ora fuori mercato.

Queste clausole così singolari avevano fatto storcere il naso a parecchi e su vari fronti. In primis all'Unione europea, che non a caso a fine 2013 aveva voluto vederci chiaro, aprendo un'istruttoria per verificare se erano state violate le norme comunitarie sulla concorrenza. In quei giorni la posizione dell'UE, dai toni molto duri e netti, sembrava non concedere scampo a Hinkley Point. Nell'ottobre del 2014 è arrivato un po' a sorpresa il via libera della Commissione UE, non senza che nei mesi successivi Austria e Lussemburgo facessero ricorso alla Corte di Giustizia Europea.

La May, non proprio una grande sostenitrice del progetto quando ricopriva la carica di ministro degli Interni, ha tenuto fermo il punto sullo

strike price
, scatenando le ire del governo-ombra laburista. Ma già in passato su questo aspetto anche diversi analisti della City si erano dichiarati a dir poco scettici. E ancora non era comparso l'effetto Brexit, che potrebbe scompaginare ancor di più le carte e rendere l'opera più controversa di quanto non lo sia al momento.

Hinkley Point dovrebbe fornire energia elettrica al 7 per cento della popolazione. Considerando i precedenti poco lusinghieri con gli altri impianti nucleari di terza generazione della EDF, Flamanville in Normandia e Olkiluoto in Finlandia, l'incertezza sui tempi sembrerebbe permanere. Olkiluoto doveva essere completato nel 2009, ora si parla di fine 2018, mentre Flamanville è dietro di sei anni sulla tabella di marcia. In entrambi i casi i costi sono triplicati. Tutte eventualità che fanno tremare i polsi al già malfermo governo di Theresa May.

* Re:Common

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