Ci saranno amici ed estimatori, cristiani ed ebrei, laici e religiosi. Teologi e biblisti, editori e scrittori, storici e giornalisti. Tutti insieme a ricordare «l’uomo dei ponti», oltre che il giudaista, il biblista, l’intellettuale. Lo faranno in un convegno ad Asti, il 2 e 3 dicembre, presso il Polo Universitario Rita Levi-Montalcini: un appuntamento con il patrocinio del Comune e della diocesi, oltre a quello dell’Ufficio per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso della Cei, nonché l’adesione di “Biblia”, l’Associazione laica di cultura biblica da lui a lungo presieduta, dell’Associazione Biblica della Svizzera italiana, di “Ethica”. Lui, l’«uomo dei ponti», è Paolo De Benedetti, mancato un anno fa, l’11 dicembre. E l’incontro - voluto dalle principali riviste scientifiche alle quali il grande studioso di ebraismo e cristianesimo ha collaborato (Qol, Sefer, Humanitas e altre), come pure dal Centro per la promozione delle opportunità di socializzazione (il Cepros, da lui fondato sul finire degli anni ’70 con la sorella Maria) e dalla Fondazione Biblioteca Astense - si articolerà in due giornate di studio per fare memoria della sua vita, ma al contempo, per approfondire l’eredità del suo pensiero.

Una vita e un pensiero in ascolto degli uomini e di Dio. Umberto Eco, suo collega all’editrice Bompiani, riuscì ad abbozzarne un bel ritratto con queste parole: «Paolo De Benedetti, come dice il nome, è di origini ebraiche ma è nato in una famiglia non so da quanto ormai cristiana, e come cristiano è spirito religiosissimo (ha scritto libri e diretto collane di argomento religioso). È il cristiano più giudaicizzante che abbia mai conosciuto e naturalmente doveva finire come biblista e professore di cose giudaiche in una facoltà teologica. Come se non bastasse, è lo spirito più talmudico che esista».

Dunque, di padre ebreo e di madre fervente cattolica, Paolo De Benedetti, battezzato a 11 anni (con il consenso paterno e poi un’intensa educazione religiosa materna), connotava scherzosamente la sua condizione con il nome di «marrano», come gli spagnoli sin dal XVIII secolo avevano definito gli ebrei «convertiti» per sfuggire l’Inquisizione. E tuttavia, quasi avvertendo dentro di sé la compresenza di categorie ebraiche e di convinzioni cristiane - egualmente irrinunciabili - si sentiva un cercatore di senso sul crinale di quei due mondi, ebraico e cristiano, pieni, colmi di rimandi, segnati da conflitti, eppure capaci di reciproci doni.

Nato ad Asti nel 1927, liceo nella stessa città, filosofia all’Università - il primo anno in Cattolica, a Milano, poi a Torino, dove si era laureato - di lui si ricorda spesso che, se per la Bibbia e il Giudaismo era stato un po’ autodidatta, lingue antiche come l’ebraico, un po’ di babilonese, di siriaco, o l’aramaico le aveva imparate negli anni universitari dal presidente del Tribunale di Asti. «PdB », come lo chiamavano allievi e amici, aveva lavorato a lungo nel mondo dell’editoria. Negli anni Cinquanta e Sessanta alla Bompiani del mitico «Vale» - come s’è ricordato insieme a Eco e ad un altro astigiano, Sergio Morando - lì coordinando lavori editoriali come il “Dizionario Bompiani delle Opere e dei Personaggi” e occupandosi di strenne, manuali e libri religiosi; poi, dal ’68, alla Garzanti dove fu responsabile delle sezioni di Storia, Filosofia e Scienze Umane del catalogo e, con Giorgio Cusatelli e Silvio Riolfo Marengo, diresse l’”Enciclopedia Europea”.

Intensi i suoi rapporti con i protagonisti del nostro Novecento: come Eco, appunto, ma pure il cardinale Carlo Maria Martini, con cui ha collaborò alla revisione - conclusa nel ’70 – della traduzione della Bibbia. Ovvero, del testo letto e riletto tutta la vita, capace, con lunghi brani sotto gli occhi, di traduzioni, lì, in diretta, talvolta spiazzanti, e sempre aperte a un senso ulteriore. Perché se la tradizione rabbinica indica settanta possibili sensi della Torah, «PdB» -come sosteneva anche nel suo “Ciò che tarda avverrà”, edito da Qiqaion nel ‘92 - il settantunesimo tocca ad ogni uomo scoprirlo. De Benedetti, però, oltre a “Fare libri” (titolo del suo ultimo volumetto con la rassegna di tutte le sue opere, scritto insieme ad Agnese Cini e uscito nel 2016 con Morcelliana), è stato docente di Giudaismo e di Antico Testamento su più cattedre.

Frontaliere tra l’Antico Testamento e i Vangeli per appropriarci di una metafora usata, per lunghi anni è stato pendolare dunque tra Milano (dove viveva sui Navigli, frequentava case editrici da Scheiwiller, riviste come Jesus o le Edizioni San Paolo ai tempi di don Antonio Tarzia, e dove appunto insegnava all’Università) e Asti (dove tornava volentieri e si incontrava facilmente dalle parti della sinagoga di via Ottolenghi); tra Milano e Brescia (destinazione la sede della Morcelliana), ma pure Milano e Urbino (dove insegnava all’Istituto di Scienze Religiose), Milano e Trento (all’Istituto Trentino di Cultura). Per non parlare delle città o dei paesi che ospitavano con regolarità i suoi corsi per “Biblia” o le sue conferenze.

Collaboratore di editrici, curatore in proprio di classici teologici e filosofici, autore di saggi intramontabili (da “La morte di Mosè” per Bompiani nel ’78, a “Quale Dio?” per Morcelliana nel ‘96), di commenti dotti (come quello all’Esodo intitolato

“E il loro grido salì a Dio” sempre con Morcelliana nel 2002) e persino di volumetti illustrati per bambini dedicati ai gatti (una delle sue passioni, ben dichiarata nelle “Gattilene” edite dalla San Paolo nel 2003), De Benedetti è stato prezioso punto di riferimento per più di un cantiere di dialogo interreligioso che alla sua morte ha avvertito una grave perdita . L‘«uomo dei ponti» che questo fine settimana viene ricordato ad Asti, infatti, sapeva vivere nelle tante case dove la Parola di Dio è amata e proclamata, rivelandosi anche un autentico «uomo di cerniera» tra giudaismo e cristianesimo.

E se è vero che forse non ha lasciato nessun «erede», ma, a modo suo, tanti «orfani», tutti questi sono stati egualmente chiamati a condividere l’insegnamento da lui appreso da tanti maestri e sintetizzato ad esempio, alla conclusione dell’Anno della Bibbia, a Lugano, nel 2004, con queste due frasi: «Dobbiamo vivere la Bibbia facendo possibilmente quello che facevano rabbì Ismaele e rabbì Eliezer e che faceva Gesù, cercando di dar fuoco alle parole». «Il Nuovo Testamento ha questo compito straordinario per noi, oltre che dirci chi era Gesù: insegnarci a far tornare fuoco le parole della Scrittura».

Non è tutto. Un anno fa, al momento del suo addio, parecchi giornali, commentarono la morte di Paolo De Benedetti, come quella del singolare Maestro di una teologia degli animali e del Creato, cui pure era pervenuto alla fine della sua «scala» costellata di ricerche dove - l’espressione è del cardinal Martini che cita il Vangelo di Matteo - continuamente estraeva dal suo tesoro cose nuove e cose antiche.

Tutto vero. Qui però preferiamo ricordarlo - come ha fatto Ilario Bertoletti, navigatore nel variegato corpus debenedettiano alla ricerca di un filo unitario - a partire da quel cammino tra gli anni Settanta e Novanta che lo ha portato prima ad una «demitizzazione del Libro», poi all’ approdo ad una «teologia del debito di Dio»: «Una teologia che, radicandosi nella tradizione rabbinica, fa del debito la categoria chiave per rendere conto dell’esperienza di Dio dopo Auschwitz. Debito di Dio verso gli uomini e,ogni creatura vivente: ognuna in attesa di redenzione nel mondo che verrà». È la tesi che Bertoletti indica nel libro dove si avvicina al nostro marrano del ’900 come teologo e filosofo: appunto “Paolo De Benedetti. Teologia del debito di Dio” pure edito dalla Morcelliana nel 2013 (qualcosa che ricorda pure la forma del debito nella teologia bonhoefferiana).

Davvero molti, in ogni caso, i relatori annunciati per questo fine settimana ad Asti. Nel pomeriggio di sabato presso l’Aula Magna del Polo Uni-Astiss in corso Alfieri, il convegno moderato dal biblista Luigi Rigazzi sarà aperto dai saluti di Michele Maggiora e Roberta Bellesini, presidenti degli enti promotori, di monsignor Francesco Revinale e Maurizio Rasero, vescovo e sindaco di Asti, della pedagogista Mara De Benedetti, presidente del Cepros e sorella di Paolo. Seguiranno, fra gli altri, gli interventi di Piergiorgio Grassi, già direttore dell’ Istituto Superiore di Scienze Religiose Italo Mancini di Urbino; don Cristiano Bettega, direttore dell’Ufficio Nazionale per il Dialogo Interreligioso della Cei; Gabriella Caramore; Enzo Bianchi; Gianandrea Piccioli; Agnese Cini; Gianpaolo Anderlini.

La sera, nella Biblioteca Astense di via Goltieri, si terrà uno spettacolo teatrale sulla figura di De Benedetti dal titolo “Se così si può dire”, a cura di Marina Bassani. Durante i lavori della mattina di sabato, ospitati alla Biblioteca Astense e moderati dal biblista Raffaello Zini, dopo i saluti di Donatella Gnetti, Claudia De Benedetti della Comunità Ebraica di Casale Monferrato e di Elsa Saibene, direttore di Sefer, si potranno ascoltare studiosi come Elena Lea Bartolini De Angelis, Massimo Giuliani, Ilario Bertoletti, Stefano Levi della Torre, Ernesto Borghi, Silvia Giacomoni, Bruno Segre, David Bidussa, del pastore valdese Daniele Garrone. Le conclusioni sono affidate al teologo e direttore di Qol , Brunetto Salvarani.

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