William Walter Rozario, il prete cattolico scomparso lunedì scorso a Bonpara, nel distretto di Natore, nel nord-ovest del Bangladesh, è stato ritrovato dalla polizia a Syleth, città metropolitana nel Nord-Est del Paese, al confine con l’India, a circa 400 km di distanza dalla sua residenza, nella diocesi di Rajshahi. La notizia è stata diffusa dalle autorità di polizia, che hanno annunciato che il prete è sano e salvo, pur senza fornire molti dettagli sulla dinamica dell’accaduto. Il sacerdote ha raccontato di essere riuscito a sfuggire ai rapitori e di aver avvisato suo fratello, che poi ha chiamato le forze dell’ordine, che lo hanno messo al sicuro.

Come conferma a Vatican Insider Dino Giacominelli, missionario italiano del Pime nello stesso distretto, che ha condiviso per tre anni il lavoro pastorale con Rozario: «La notizia ci dà sollievo, anche se vorremmo saperne di più. Noi missionari, in particolare, continuiamo a vivere nella tensione e nella paura: siamo scortati dalla polizia ogni volta che usciamo dalla missione. Ricordo che il nostro collaboratore Sunil Gomez è stato ucciso un anno fa. Temiamo la violenza di gruppi estremisti che solo di recente di sono infiltrati in Bangladesh».

«I missionari del Pime sono in questa parte del paese da molti anni e questa violenza non c’è mai stata» rileva Giacominelli, ricordando l’attentato di Dacca, dove sono stati uccisi nove italiani. Il missionario era a Dacca per partecipare alla messa del Papa e la notizia del rilascio lo ha raggiunto mentre era di ritorno nella missione a Natore, dove «la Chiesa gestisce scuole, orfanotrofi, opere sociali» per i 64miila fedeli della diocesi di Rajshahi.

La Chiesa locale era col fiato sospeso e la famiglia del prete, che ne aveva perso traccia lunedì pomeriggio, denunciando la scomparsa alla polizia, ha tirato un sospiro di sollievo. William Walter Rozario, era responsabile della scuola Saint Lewis e, nell’ultimo periodo, era impegnato a organizzare il viaggio di circa trecento fedeli verso Dacca, in occasione della visita di Bergoglio. Per il Papa si sono mobilitate tutte le parrocchie in un Paese a maggioranza islamica, dove i cattolici sono circa 400mila, lo 0,2% su una popolazione di circa 170 milioni di abitanti. Dal 2015, sono almeno tre i cattolici uccisi in attacchi che qualcuno attribuisce a uno dei gruppi della variegata galassia jihadista locale, il “Jamayetul Mujahideen Bangladesh”.

Fracis Lintu D’Costa, prete dell’arcidiocesi di Dacca, anch’egli amico del prete appena rilasciato, spiega a Vatican Insider i contorni della situazione: «Sono diverse le ipotesi percorribili quando viene preso di mira un prete cattolico. La prima pista è quella dell’estremismo islamico e di quei gruppi cercano visibilità o di spaventare i cristiani, proprio in occasione del viaggio del Papa. La seconda possibilità è inerente al lavoro di William, che è preside in una scuola: a volte possono sorgere controversie sull’ammissione degli allievi, in maggioranza non cristiani, e può esserci qualche atto di ritorsione. Terzo scenario, la criminalità comune che rapisce a scopo di estorsione, e in effetti una richiesta di riscatto c’è stata, anche se forse non attendibile».

In ogni caso, D’Costa ricorda che il Bangladesh vanta una storica convivenza tra religioni diverse e solo negli ultimi anni piccoli gruppi jihadisti cercano di minarla: «Dobbiamo essere pronti a proteggerla. Papa Francesco, venuto a portare il Vangelo e a dire una parola di pace, è per noi una benedizione e siamo certi ci aiuterà».

Sulla base di questa certezza, per ascoltare e vedere il Papa c’è stata una mobilitazione eccezionale da ogni angolo del Bangladesh. «C’è perfino chi ha preso le ferie dal lavoro, pur di avere l’occasione di incontrare il Papa», ha raccontato all’agenzia vaticana Fides Damian Quiah, fedele di Chittagong, città portuale con 5 milioni di abitanti. «Il piccolo gregge dei fedeli cattolici bangladesi, grazie alla presenza di Papa Francesco, ha voluto quasi toccare Gesù Cristo e avere un’esperienza diretta, concreta del Vangelo», osserva D’Costa. Sfidando anche i pericoli e le tensioni e, soprattutto, nonostante la povertà, «uno dei problemi più impellenti: il 36% della popolazione vive in uno stato di indigenza estrema con un reddito di poco superiore ai mille dollari annui», ricorda il prete.

In un terra dove il fondamentalismo islamico diffonde violenza e intolleranza, «i cristiani – conclude il prete di Dacca – vivono la loro fede consci di stare in un terra in cui sono una piccola comunità. La visita del Papa oggi è un incoraggiamento a continuare su questa strada, proseguendo nelle opere umanitarie e sociali rivolte alla popolazione, senza distinzione di etnia o credo religioso, con una speciale attenzione ai più poveri».

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