Una nascita e il primo anniversario di un mesto funerale. La nascita, come narrano le cronache, è quella di «Liberi e uguali», contestato tentativo di rimettere insieme i cocci di parte della sinistra italiana; il funerale - di cui oggi si ricorda il primo anno - è quello di un progetto politico e di governo sepolto da 19 milioni di no giusto il 4 dicembre 2016, dodici mesi fa. E non è solo la quasi coincidenza di date delle due ricorrenze a suggerirne una lettura comune, visto che tra i due eventi c’e un evidente e non negato rapporto di causa ed effetto.

Infatti, immaginato per ridisegnare la geografia istituzionale del Paese, il referendum costituzionale che tanto fortemente volle Matteo Renzi ha finito per trasformare - al contrario - la «mappa politica» del Paese, con un’onda d’urto che non si è limitata a terremotare il campo della sinistra. Quel voto, infatti, rianimò un Berlusconi che era da mesi ai margini del campo di gioco permettendogli di tornare a vincere.

Fornì al Movimento Cinque Stelle il propellente ancora mancante per entrare in orbita e poi - certo - costituì la scintilla dalla quale divampò la scissione del Partito democratico. Tanto che Roberto Speranza, uno dei giovani co-fondatori della nuova lista, ieri ha voluto orgogliosamente ricordare che «noi siamo quelli del 4 dicembre». Ed è vero che le radici di «Liberi e uguali» son piantate lì, nel terreno dello scontro più aspro combattuto contro Matteo Renzi da quella che allora era la minoranza interna al Pd. Non per caso, i temi e soprattutto i volti di quella battaglia di opposizione, ieri affollavano le prime file dell’assemblea costitutiva: da Bersani a D’Alema, da Speranza a Gotor, fino all’uomo scelto come leader, quel Pietro Grasso che - da presidente del Senato - non nascose la sua contrarietà al progetto referendario.

Se queste sono le origini e le premesse politiche, è fin troppo facile prevedere - al di là delle obbligatorie dichiarazioni di maniera - che le rotte di Pd e di «Liberi e uguali» non potranno che essere rotte di collisione: un’altra battaglia, insomma, della Grande Guerra per la liberazione da Matteo Renzi. Se così sarà - e visti i meccanismi previsti dalla nuova legge elettorale - il centrosinistra può già considerare persa la partita per il governo del Paese. Certo, poi resta la tradizionale e fratricida «sfida a sinistra» per capire se la nuova lista otterrà un risultato a due cifre oppure no, o se il Pd sarà sopra o sotto i risultati delle elezioni «non vinte» da Bersani nel 2013: ma se questa è la posta in palio - quasi un regolamento di conti tra «nuovi» ed ex - pare difficile che possa conquistare l’attenzione di una fascia molto ampia di italiani.

Del resto, nel suo primo discorso da leader incoronato, Pietro Grasso non ha fatto granché per cancellare questa impressione. Eletto presidente del Senato grazie ai voti determinanti del Pd - ed avendo deciso di mantenere comunque la sua carica - è proprio al Partito democratico che ha rivolto le contestazioni più dure. Un modo, forse, per confermare la rotta tracciata da Bersani e D’Alema, spazzando via dal campo ogni ipotesi di non belligeranza: ma si tratta comunque di una scelta non irrilevante ai fini della qualità dei rapporti tra la «sua» lista ed il Pd e dello stesso risultato elettorale.

Una nascita, quella dei «Liberi e uguali», determinata dunque da un funerale. Anche sulle esequie del progetto di riforma costituzionale si potrebbe forse annotare qualcosa: gli errori di Renzi successivi alla sconfitta, certo, ma anche il fatto che le «terre promesse» in caso di vittoria dei no sono rimaste miraggi assai lontani. Non c’è una legge elettorale migliore della precedente, non c’è un governo più forte e «legittimato» di quello che fu costretto alle dimissioni ed il bicameralismo è sempre lì, a produrre bizantinismi e tempi doppi, dei quali stanno facendo le spese - in questi giorni - provvedimenti come lo Ius soli e il fine vita.

Ma le orazioni funebri sono state già recitate a centinaia. E discorsi su quel che poteva essere e non è stato sarebbero fuori luogo nel giorno in cui si festeggiano una nascita ed un battesimo: i «Liberi e uguali» sono infatti in campo. Ora se ne attendono i primi passi: ma che si applauda più a destra che nel centrosinistra, sembra un viatico nient’affatto beneaugurante.