Negli ultimi mesi di vita di Teresio Olivelli, il giovane martire del ’900 che sarà beatificato a Vigevano il prossimo 3 febbraio, c’è un gesto fortemente evocativo da registrare. Ben documentato, e, soprattutto, in grado di confermarne l’inarrestabile disposizione al sacrificio di sé. Con un luogo e un giorno esatti: il campo di Flossenbürg, venerdì 29 settembre 1944. In quella data, scrive monsignor Paolo Rizzi, biografo e postulatore della causa di Teresio Olivelli, i prigionieri usciti dalla quarantena provenienti dal campo di concentramento di Bolzano-Gries, venivano separati dall’esito di una prova di abilità meccanica, relativa all’uso dello strumento del calibro. Chi la superava finiva a Kottern, sotto-campo di Dachau, dove la vita era meno pesante e si lavorava in officina. Gli altri erano convogliati nel campo di sterminio di Hersbruck: dove si lavorava nelle cave e la morte era quasi certa. Olivelli, pur avendo superato quell’esame tecnico, accorgendosi che larga parte dei suoi compagni era finita nel gruppo con destinazione Hersbruck, vi si aggiunse. Rivoltosi a un amico che gli era accanto, Luigi Mazzullo, motivò così la sua decisione: «Non posso lasciarli soli, vado con loro». Un episodio, tra i molti documentati nella Positio, a dimostrare scelte di Teresio, che non escludevano il completo sacrificio di sé pur di stare accanto ai più deboli.

«Non posso lasciarli soli, vado con loro» (pagg. 79, € 7, Effatà), è ora il titolo di un volumetto divulgativo che Rizzi - cui si deve da tempo l’opera «L’amore che tutto vince. Vita ed eroismo cristiano di Teresio Olivelli», pubblicata dalla Libreria Editrice Vaticana nel 2004 (pagg. 765, € 32) - manda in libreria con una nota di apertura di Sebastiano Favero, presidente dell’Associazione nazionale Alpini, ovvero la «grande famiglia verde» della quale Olivelli ha pure fatto parte.

L’autore ricorda qui, tra l’altro, come il nuovo beato in molte stagioni della sua vita precedente si fosse sforzato di «non lasciare soli» quanti erano nel dolore e sia sempre «andato con loro». Da quando, studente al Collegio universitario Ghislieri di Pavia era intervenuto a difesa di un ragazzo ebreo - Achille Jona – deriso per le sue origini, a quando partì volontario nella campagna di Russia condividendo quest’esperienza già convinto di «non poter stare lontano dal posto dove più si soffriva» (per usare le parole di Alberto Caracciolo).

Una prossimità ai più sfortunati manifestatasi indubbiamente durante la tragica ritirata dell’Armir, quando Teresio - mentre tutti fuggivano per salvarsi - si fermò più volte a soccorrere quanti erano abbandonati. «In guerra non fu eroe delle battaglie, ma della carità»: così l’alpino Gherardo Bozzetti, debitore a Teresio della vita.

«Il periodo della guerra, in divisa da artigliere alpino, ha costituito una tappa oblativamente forte del suo cammino interiore caratterizzato dalla scelta remota di immolarsi per i fratelli, mosso dalla fede in Cristo», osserva monsignor Rizzi nelle nuove pagine ricordando altre parole olivelliane come queste, tratte da una lettera del ’41, assai significative: «Non ho eroici furori. Solo desidero fondermi nella massa, in solidarietà col popolo che senza averlo deciso combatte e soffre» .

Con lo stesso spirito, com’è noto, Olivelli affrontò la vicenda resistenziale, decisosi - dopo l’8 settembre ’43 – a schierarsi con quanti volevano liberare l’Italia dal dominio nazista e recando il suo contributo, a rischio della vita, come prezioso anello di collegamento tra il Comitato di Liberazione nazionale e i partigiani cattolici, nella clandestinità. Opponendosi alla Repubblica di Salò innanzitutto per una «rivolta dello spirito» e mirando alla riconquista della libertà più che da uomo in armi, con le «armi» del Vangelo: amore, solidarietà, fraternità . «È proprio l’obbedienza alla legge divina a determinare la sua ribellione all’autorità civile quando questa attua disposizioni e atteggiamenti in contrasto con la legge naturale e la morale evangelica. Il suo rifiuto di collaborare con i nazifascisti dopo l’8 settembre 1943, che causa il suo primo arresto, va letto non solo da un punto di vista politico come fedeltà al Re, cioè al potere legittimo, ma anche dal punto di vista soprannaturale della carità. Rifiuta di appoggiare i nazifascisti per fedeltà al Vangelo...», sintetizza Rizzi.

Se ne ha un po’ la riprova nel giornale fondato da Olivelli, Il Ribelle, nelle parole da lui usate a esprimere anche un ruolo di freno alla deriva fratricida dell’azione resistenziale («Siamo contro una cultura fratricida; la nostra rivolta non va contro questo o quell’uomo. Lottiamo per una più vasta e fraterna solidarietà degli spiriti»), ma anche in certi studi come quelli dedicati dal compianto Gabriele De Rosa e da altri storici al filone resistenziale cattolico. Il volume «Non posso lasciarli soli, vado con loro» insiste su questa cifra della personalità di Olivelli, seguendolo negli spostamenti da Milano alle montagne della Valcamonica e negli incontri con i partigiani delle «Fiamme Verdi», in prevalenza alpini e fuggiti per non continuare la guerra al fianco dei tedeschi, dunque disertori o renitenti alla leva.

«Per essi Teresio spende le migliori energie spirituali, continuando a vivere la propria missione di protettore dei deboli», scrive Rizzi. Spiegando: «Da cosa li deve proteggere? Li deve proteggere dall’odio, dal rancore. E ciò non è facile in un contesto di lotta armata. Sostiene moralmente la loro aspirazione alla libertà, insegnando a resistere al nemico ma anche all’odio...». Appunto l’odio dei fascisti e dei nazisti a causa dell’opera di evangelizzazione e di moralizzazione da lui svolta negli ambienti in cui operava sognando un’Italia «più libera, più giusta, più solidale, più cristiana». L’odio trasformatosi in tortura dopo l’arresto a Milano il 27 aprile ’44 quando gli vennero trovati addosso diversi fogli del «Ribelle» e del volantino «Cristo operaio agli operai», ritenuti documenti sovversivi (evitò la fucilazione solo per l’intervento del cardinal Schuster, dopo una visita il 24 maggio ’44 da parte del padre e dello zio prete Rocco Invernizzi). L’odio dove sfocia già la via persecutoria dei nazisti nei confronti di Olivelli per ragioni politiche quanto per ragioni religiose.

Sappiamo che, trasferito il 9 giugno ’44 nel campo di Fossoli, presso Carpi dove incontrò Odoardo Focherini, l’8 agosto ’44 Olivelli passò a Bolzano-Gries e all’inizio di settembre partì per il lager di Flossemburg. Lì, nonostante le privazioni e punizioni, animò pratiche quotidiane di preghiera tra i compagni, che pure cercava di difendere nelle loro condizioni disumane e offrendo loro la razione alimentare supplementare che riceveva per il suo servizio di interprete. E sappiamo - come si è ricordato sopra - che, pur potendo farsi inserire nelle liste di quanti erano destinati al lavoro nelle fabbriche con probabilità di salvare la vita, rinunciò a questa prospettiva scegliendo con il trasferimento al campo di Hersbruck la via del Calvario.

Lì, per i lavori forzati nelle cave, il suo fisico si indebolì ulteriormente e lì morì il 17 gennaio ’45, appena 29enne, a causa delle percosse sferrategli da un sorvegliante, dopo che aveva cercato di aiutare un prigioniero. Un martirio di carità nel segno di un impegno umano e morale straordinario. Il sigillo sulla fine dell’avventura umana di un laico (definito da don Primo Mazzolari «lo spirito più cristiano del nostro secondo Risorgimento») che ha testimoniato il Vangelo con la vita e la morte. La vita e la morte di un ribelle per amore che la beatificazione porterà fra poco sugli altari, ma anche all’attenzione delle nuove generazioni «come costante e forte testimonianza della fede in Gesù Cristo, incarnata in opere di carità e di servizio soprattutto ai deboli e alle vittime della violenza e dell’odio», e una testimonianza - detto ancora con le parole del vescovo di Vigevano Maurizio Gervasoni - che ha «trovato compimento nel martirio subìto, ma anche accolto e voluto per accompagnare con la presenza di Gesù i compagni di prigionia destinati allo sterminio».

Paolo Rizzi, «“Non posso lasciarli soli, vado con loro”. Il martirio del beato Teresio Olivelli», prefazione di Sebastiano Favero. Editrice Effatà, pagg. 79, euro 7

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