In tempi di crisi, crisi di valori e di “quadri”, le mafie si vedono costrette a ricorrere ad ogni mezzo per garantire la continuità nella gestione della “Ditta”. L’operazione antimafia che ha portato in carcere, a Palermo, 25 persone affiliate alla “famiglia” di Resuttana-San Lorenzo Colli, ci rivela che - in assenza di buoni capi - anche le donne possono prendere il comando. Maria Angela Di Trapani lo ha fatto e lo ha fatto con grande personalità, senza tentennamenti, dimostrando ottime qualità dirigenziali.

Lei è la moglie di Salvino Madonia, uno dei figli maschi di don Ciccio, vecchio patriarca ormai defunto, che a Palermo era una vera autorità. Lo chiamavano il “terrorista” perché maneggiava bene gli esplosivi e intratteneva relazioni con l’estrema destra che sarebbe poi confluita nel gruppo terroristico di Ordine Nuovo. Salvino è il figlio più piccolo di don Ciccio e quando fu arrestato per aver assassinato Libero Grassi (nel 1991), l’imprenditore che si rifiutava di pagare il pizzo e consigliava ai colleghi di fare altrettanto, decise di rompere con la tradizione maschilista di Cosa nostra. La famiglia era priva di uomini (in carcere) e così Maria Angela divenne prima “portavoce” delle decisioni prese in carcere degli uomini e, alla fine, capomandamento a tutti gli effetti. D’altra parte la signora non è una parvenu della mafia: i cromosomi ce li ha “buoni”, essendo figlia di don Ciccio Di Trapani, boss del mandamento negli anni Sessanta e Settanta.

Come un vero capo, Maria Angela era già stata in carcere, condannata per associazione mafiosa: nove anni in appello, che sarebbero stati 21 se non avesse scelto il rito abbreviato. Aveva lasciato il carcere nel 2015 e aveva subito ripreso il suo ruolo di “padrona” del territorio. Decideva, la signora Di Trapani. Alcune volte, dopo essersi consultata col marito che - evidentemente - aveva modo di sentire con qualche tranquillità, certamente non con le restrizioni del regime carcerario del 41 bis. Così accadde quando si doveva nominare il nuovo capomandamento e la proposta dei picciotti cadeva su Michele Di Trapani (un omonimo di Maria Angela). La “padrona” sentenziò che Michele “doveva stare a casa” e il capo doveva essere Bartolo Genova.

Fino a qualche anno fa, tutto ciò sarebbe stato impensabile. Il potere delle donne esisteva, ma non era mai ufficializzato. Il loro ruolo spesso era fondamentale ma nelle vesti di “consigliere” o ambasciatrici presso le altre “famiglie” o tessitrici di alleanze non raramente cementate da matrimoni combinati. La subalternità femminile, dentro Cosa nostra ed anche nella ‘ndrangheta calabrese, era addirittura codificata nelle sentenze giudiziarie. Il reato di mafia, fino alla fine degli Ottanta, non veniva contestato alle donne perché ritenute inidonee, per storia e per cultura, a far parte di un’associazione criminale esclusivamente maschile. La “rivoluzione rosa” è una conseguenza della crisi che è andata avanti negli ultimi tre decenni. Le guerre di mafia e la repressione dello Stato hanno decimato l’esercito mafioso. Anche i boss avranno capito, poi, che doveva cambiare il rapporto tra i generi, che l’orizzonte si sarebbe dovuto allargare, come avveniva nella società civile e nei mestieri un tempo riservati ai soli uomini.

Non può essere casuale il “fiorire” di personalità femminili e il mutamento “culturale” che ha portato le donne al comando, ma anche a decisioni traumatiche, come quelle di alcune mogli o sorelle (Giusi Vitale, Carmela Iuculano, Rita Atria) divenute collaboratrici di giustizia e “ribelli” il più delle volte per salvare i figli piccoli e strapparli ad un destino tragicamente scritto.

Come nel mondo maschile, tuttavia, resistono le irriducibili. Come Maria Angela, appunto. O come Patrizia Messina Denaro, sorella di Matteo, la “primula” trapanese ancora latitante, anch’essa finita in carcere per aver continuato a gestire il mandamento in assenza del fratello e del marito. O come, infine, la sorella dei Graviano di Brancaccio, Nunzia, capace di far muovere i soldi della famiglia anche se ancora considerata “a picciridda”, la bambina. Ma c’è una curiosa coincidenza tra le donne dei Madonia e dei Graviano. Maria Angela, come Bibiana, moglie di Giuseppe Graviano e Francesca, moglie di Filippo, sono riuscite a rimanere incinte pur avendo i loro uomini al 41 bis. Si pensò all’inseminazione artificiale, ma,a sentire i Graviano, le cose furono fatte “al naturale”. Alla faccia del carcere duro.

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