È stato voce e megafono dei terremotati del Belice, in Sicilia, che vivevano al freddo nelle baracche. Poi vescovo in prima linea in terra di camorra, da cui è meglio «essere ammazzato che scappare», dirà, in anni in cui i morti si contavano a centinaia. Monsignor Antonio Riboldi, per tutti don Antonio, pastore emerito di Acerra (Napoli), si è spento ieri, a 94 anni, a Stresa, in Piemonte, nella casa dei Rosminiani dove si trovava dalla scorsa estate.

Nato il 16 gennaio 1923 in Tregasio, frazione di Triuggio, Brianza profonda, prete rosminiano dal 1951, avrebbe voluto insegnare. Mentre progetta una carriera accademica, lo spediscono a fare il parroco nel cuore della Sicilia. A Santa Ninfa, valle del Belice. Ci resterà vent’anni, dal 1958 al 1978. In realtà doveva andarsene nel 1968. Ma arriva il sisma. Resta, diventando ancor più di prima il pastore, il sostegno di quella gente abbandonata. Ci si mette anche la mafia: lui grida forte contro i soccorsi mancati e contro chi ruba sulla pelle dei poveri. Porta i terremotati a Roma da Paolo VI e davanti ai palazzi della politica. Sposta macerie, rilascia interviste, guida marce di protesta. Ammetterà: «Ci fu un tempo che era scomodo portare in giro il nome Riboldi. Mi piovevano addosso insulti, insinuazioni, sospetti».

Nel 1978, passata l’emergenza più grave, dovrebbe tornare al Nord. Ma di nuovo c’è per lui un altro disegno. Sempre papa Montini lo nomina Vescovo di Acerra, diocesi da anni senza guida. Terra di camorra e di povertà estrema. Una Chiesa da ricostruire tra degrado, paura, omertà. E lui «non tacerà». Si mette al lavoro per riportare speranza, per strappare i giovani alla camorra, per vincere le paure. Racconta don Luigi Ciotti, fondatore e presidente di Libera, che Riboldi «denuncia la violenza, i giochi di potere, i silenzi e le complicità di cui gode l’organizzazione criminale. Sarà, in quegli anni, una delle poche voci della Chiesa a schierarsi apertamente contro le mafie». La sua generosità «lo porterà a una controversa trattativa, che non ebbe esito, con un gruppo di camorristi per indurli a consegnare le armi e se stessi alla giustizia». Riboldi riceve minacce, avvertimenti, attacchi. Lo Stato gli assegna la scorta.

Altri vent’anni così, fino al ritiro per i raggiunti limiti di età, nel 1999. Ma non tace nemmeno allora, continua a viaggiare ovunque lo invitino, a scrivere e a parlare. Curioso e aperto alla modernità, è uno dei primi vescovi a sbarcare su Internet nel 1997: le sue omelie arrivano a centinaia di migliaia di persone. Non tacerà mai, fino alla fine, il «Prete-terremoto» e Vescovo anti-camorra. Non immaginava e non cercava una vita così. S’è lasciato guidare, sempre, dalla «volontà di Dio». Il prete brianzolo – come amava definirsi - spiegherà nella festa per i suoi 50 anni di sacerdozio: «Ho imparato che è fondamentale andare tra la gente a diffondere il Vangelo. Ho capito che bisogna sporcarsi le mani con i problemi dell’uomo». I funerali in settimana nella cattedrale di Acerra.

Questo articolo è stato pubblicato nell’edizione odierna del quotidiano La Stampa

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