La sinagoga che è diventata una moschea e un caso politico è in Rue Saint Dominique, nel primo arrondissement, pieno centro di Marsiglia, a due passi dalla stazione di Saint-Charles, la più grande della città, a quattro dalla cartolina del Vieux Port. Il palazzo, anonimo, potrebbe essere qualsiasi cosa. A far intuire l’esistenza di una moschea è la scritta “Associazione islamica al Badr”. Il giovedì non si vede nessuno ed è più animato il negozio dirimpetto che vende abiti islamici e fidget spinner, il gioco del momento. Ma il venerdì, giorno della preghiera islamica, è tutto un via vai di uomini e bambini vestiti a festa, in abiti bianchi elegantissimi.

Tra i venti-trentenni la “divisa” è quella della squadra di calcio locale, l’Olympique Marsiglia, con la variante delle maglie delle Nazionali di calcio del Maghreb, Algeria e Marocco, soprattutto. Il cancello aperto lascia intravedere i lavori in corso, e un soffitto da cui pendono una serie di cavi che paiono infiniti. Ha aperto poco più di un anno fa, ma è ancora un cantiere. La gente entra ed esce continuamente, si saluta in modo caloroso talvolta sguaiato. La moschea di Al Badr è vista da molti musulmani come un diritto, il giusto premio a una comunità enorme a Marsiglia che finora si è dovuta arrangiare per le proprie preghiere in sale di fortuna. Ma per altri, ultracattolici ed ebrei intransigenti in primis, la moschea di Al Badr è l’inizio di una colonizzazione, di un’invasione.

Al Badr è un’associazione musulmana nata nel 2009 a Marsiglia per una serie di scopi nobili: organizzazione di viaggi nei luoghi sacri dell’Islam, corsi per analfabeti, attività sociali, solidali e ricreative. Ma chi non li vede di buon occhio punta il dito su una attività dell’associazione che non viene spesso reclamizzata da chi la sostiene: Al Badr raccoglie fondi per comprare chiese e sinagoghe nel sud della Francia e allo stesso tempo allaccia contatti per trovare venditori. Finora la moschea di Rue Saint-Dominique è l’unico acquisto: lì c’era la sinagoga Or Torah.

Ma il rabbino che l’ha venduta, per 400 mila euro, non si è pentito. Zvi Ammar, presidente del Concistoro israelita di Marsiglia, ricorda che ormai gli ebrei che vivevano nei pressi della sinagoga si sono tutti spostati in altri quartieri della città: «La sinagoga era vuota da anni e bisogna fare i conti con i cambiamenti sociali. Gli ebrei a Marsiglia sono circa 70mila, i musulmani oltre 220mila. Nel ghetto la sinagoga è sempre piena, qui non aveva più ragione d’essere. Siamo passati da cento persone a preghiera negli anni Settanta a meno di venti persone per lo Shabbat».

Gli uomini fuori dalla sinagoga diventata moschea non amano parlare degli scopi dell’associazione. A un primo approccio sono tutti affiliati, vicini all’imam. Ma appena il discorso vira sulle mire espansionistiche di Al Badr, nessuno sa nulla. Ahmed, con addosso la maglia dell’ex idolo del calcio locale André-Pierre Gignac, sogna «una moschea scintillante, costruita da zero, senza un passato ingombrante. Ma dalle mie parti si dice che quello che hai è spesso più di quel che meriti».

L’amico Omar, algerino, giovane, sfrontato e in cerca di occupazione, sostiene Al Badr pur ripetendo più volte di non conoscerne bene i meccanismi: «I musulmani aumentano in Francia, è normale aumentare il numero di moschee. E il problema a quanto ne so non sono preti e rabbini che non vogliono vendere, ma è la raccolta dei soldi. Non mi stupirei se nel giro di quattro-cinque anni le chiese e le sinagoghe convertite in moschee diventassero cinque o dieci nella sola Costa Azzurra. Ma non è una guerra di posizione, sia chiaro, è semplicemente il mondo che cambia».

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