«Il Signore è venuto a consolarci», dunque bisogna lasciarLo fare. Niente lamentele e rancori. Nè amarezze. Non «cuciniamo i sentimenti» nel brodo del risentimento. Bisogna stare attenti a non rimanere attaccati al negativo. È l’appello che papa Francesco lancia questa mattina, 11 dicembre 2017, nella Messa a Casa Santa Marta.

Il Vescovo di Roma nella sua omelia – riportata da Radio Vaticana – medita sulla Prima Lettura odierna, dal profeta Isaia, in cui Dio promette al popolo consolazione. Papa Bergoglio sottolinea che anche sant’Ignazio «ci dice che è buono contemplare l’ufficio di consolatore di Cristo» paragonandolo al modo con cui gli amici consolano. E la consolazione del Signore «tante volte ci sembra una meraviglia».

Però «non è facile lasciarsi consolare – riconosce Francesco - è più facile consolare gli altri che lasciarsi consolare. Perché, tante volte, noi siamo attaccati al negativo, siamo attaccati alla ferita del peccato dentro di noi – osserva - e, tante volte, c’è la preferenza di rimanere lì, da solo, ossia sul lettuccio, come quello del Vangelo, isolato, lì, e non alzarsi». Invece «“Alzati” è la parola di Gesù, sempre: “Alzati”».

Il problema rilevato da Jorge Mario Bergoglio è che nel «negativo siamo padroni», poiché si ha dentro la ferita viva del peccato, mentre «nel positivo siamo mendicanti»; e mendicare la consolazione non piace.

Sono due gli esempi riportati dal Papa: quando si preferisce «il rancore» e «cuciniamo i nostri sentimenti» nel brodo del risentimento, quando c’è «un cuore amaro», quando il proprio tesoro è l’amarezza. Poi, il paralitico della piscina di Siloe: 38 anni con la sua rabbia, espressa denunciando che quando si muovevano le acque nessuno lo aiutava. Per questi «cuori amari è più bello l’amaro che il dolce», e molte persone sono così, preferiscono l’amaro: «Radice amara», che porta con la memoria al peccato originale. Ecco, questo è proprio un modo per non lasciarsi consolare, avverte il Papa.

Poi c’è quell’amarezza che «sempre ci porta a espressioni di lamentele». Si tratta degli uomini che si lamentano di fronte al Signore invece di lodarLo. Per questa gente, le lamentele sono come musica che accompagna la vita.

Francesco allora pensa a santa Teresa che diceva: «Guai la suora che dice: “Mi hanno fatto un’ingiustizia, mi hanno fatto una cosa non ragionevole”»; e anche al profeta Giona, «premio Nobel delle lamentele», che scappa dal Signore perché Dio gli avrebbe fatto qualcosa di male, poi annega, viene ingoiato dal pesce e successivamente ritorna alla missione. Ma invece di essere contento per la conversione della gente, polemizza perché il Signore la salva. Anche «nelle lamentele ci sono delle cose contradditorie», osserva il Papa raccontando di avere conosciuto un sacerdote che si lamentava di tutto: «Aveva la qualità di trovare la mosca nel latte. Era un bravo sacerdote, nel confessionale dicevano che era tanto misericordioso, era anziano già e i suoi compagni di presbiterio dicevano come sarebbe stata la sua morte e quando sarebbe andato in cielo, dicevano: “La prima cosa che dirà a San Pietro, invece di salutarlo, è: ‘Dov’è l’inferno?’”, sempre il negativo. E San Pietro gli farà vedere l’inferno. E ha visto…: “Ma quanti condannati ci sono?” – “Soltanto uno” – “Ah, che disastro la redenzione…”. Sempre... questo succede. E davanti all’amarezza, al rancore, alle lamentele, la parola della Chiesa di oggi è “coraggio”, “coraggio”».

Francesco nota che «non è facile» lasciarsi consolare, come chiede la Liturgia odierna, «perché per lasciarsi consolare dal Signore ci vuole spogliarsi dei nostri egoismi, di quelle cose che sono il proprio tesoro, sia l’amarezza, siano le lamentele, siano tante cose». Perciò «ci farà bene oggi, ognuno di noi, fare un esame di coscienza: com’è il mio cuore? Ho qualche amarezza lì? Ho qualche tristezza? Com’è il mio linguaggio? È di lode a Dio, di bellezza o sempre di lamentele? E chiedere al Signore la grazia del coraggio, perché nel coraggio viene Lui a consolarci e chiedere al Signore: Signore, vieni a consolarci».

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