Dinamismo e ventata di novità. Sono i due punti forti di Emmanuel Macron nella sua personale sfida verso la leadership europea. All’orizzonte ci sono le elezioni del 2019, un appuntamento-chiave che il Presidente vuole usare come trampolino per la sua consacrazione fuori dai confini francesi.

Ci sarebbe anche un terzo aspetto apparentemente favorevole al numero uno dell’Eliseo, quello legato alla (temporanea?) assenza di Angela Merkel dalla piazza Ue. Ma questo potrebbe trasformarsi in un’arma a doppio taglio. Il vuoto lasciato dalla Cancelliera, troppo impegnata sul fronte interno con i negoziati di coalizione, offre certamente un’opportunità a Macron per ritagliarsi un ruolo al centro del palcoscenico Ue.

Secondo alcuni analisti, potrebbe sfruttare questo spazio per costruire una nuova alleanza con alcuni Paesi attorno alla sua figura e quindi andare oltre l’asse franco-tedesco. Sarebbe un passo rivoluzionario. E infatti in pochi sono pronti a scommettere su questo epilogo: «Macron ha bisogno di Berlino» spiega un eurodeputato tedesco del Ppe.

Parigi deve attendere e quindi la momentanea assenza di Merkel è un freno alla spinta riformista di Macron. Come se non bastasse, le sue idee ambiziose sulla riforma dell’Eurozona sono già state ridimensionate: bocciato in partenza il Parlamento dell’Eurozona, drasticamente ridimensionato il bilancio dell’Eurozona, resta qualche spiraglio sul superministro delle Finanze. Anche se probabilmente finirà per essere una figura molto diversa da quella che il leader di «En Marche!» aveva in mente.

Però Macron non è uno che ama stare fermo. E in questi mesi ha iniziato a tessere la sua tela a Bruxelles. Tra i banchi dell’Europarlamento, ma anche tra i colleghi capi di Stato e di governo. Al Consiglio Europeo ha il forte sostegno del vicino Benelux: il belga Charles Michel e il lussemburghese Xavier Bettel avevano già lanciato l’idea di una «coalizione dei volenterosi» durante un incontro con l’omologo francese alla fine di agosto. Del club fa parte anche l’olandese Mark Rutte. I tre, tutti liberali, hanno cercato in ogni modo di convincere Macron ad abbracciare l’Alde.

Ma lui si è sempre tenuto alla larga delle riunioni della famiglia politica liberale. È convinto che farsi appiccicare l’etichetta di un «vecchio» partito politico possa danneggiare la sua immagine di innovatore. Piuttosto è lui che vuole trascinare i liberali dalla sua parte.

E qui entra in gioco il lavoro che alcuni eurodeputati stanno facendo nei corridoi del Parlamento Ue. Popolari e socialisti hanno ribadito la loro volontà di insistere sul sistema dello «Spitzenkandidat», che vedrà ogni famiglia politica presentare il proprio candidato di punta: chi prende più voti, diventa presidente della Commissione europea. Macron si adeguerà al metodo, oppure cercherà di scardinarlo? Lo scenario sarà più chiaro verso febbraio, quando i leader si riuniranno a Bruxelles per un summit dedicato alla preparazione delle elezioni 2019.

Discuteranno anche della proposta di creare delle liste transnazionali, idea che piace a Macron e che il sottosegretario Sandro Gozi spinge da tempo. Ma, nella migliore delle ipotesi, si tratterà di pochi seggi. E allora dietro le quinte si lavora a un «gruppo trasversale di sostegno a Macron» con membri popolari, socialisti, verdi e liberali. Potrebbe chiamarsi «Rifondazione Europea». Il socialista francese Gilles Pargneaux ha annunciato di avere una lista con 70 nomi di 21 diverse nazionalità. Ma la strada è tutta in salita: alcuni degli indiziati speciali, come il verde lussemburghese Claude Turmes, hanno già preso le distanze.

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