Colpo di scena in Alabama, dove il candidato repubblicano al Senato Roy Moore ha rifiutato di accettare la sconfitta contro il democratico Doug Jones. L’ex giudice vuole ricontare i voti, nella speranza di cancellare una bocciatura che rappresenta anche un duro colpo per il presidente Trump e il suo ex consigliere Bannon.

L’Alabama ieri ha tenuto un’elezione speciale per il seggio lasciato vacante da Jeff Sessions, quando il capo della Casa Bianca lo aveva chiamato a fare il ministro della Giustizia. Sembrava una formalità, in uno stato conservatore che non eleggeva un democratico al Senato dal 1992, quando Richard Shelby aveva vinto, ma poco dopo era passato con i repubblicani. La situazione però si è complicata quando si è candidato Moore, un giudice famoso per aver voluto installare un monumento dedicato ai Dieci comandamenti nel suo tribunale. In passato aveva definito l’omosessualità come un reato, e aveva sostenuto che neri e donne non hanno gli stessi diritti degli uomini bianchi. L’establishment repubblicano si era schierato con Luther Strange, candidato ufficiale del Gop, e anche Trump lo aveva appoggiato. Moore però aveva vinto le primarie, con l’aiuto dell’ex consigliere del presidente Steve Bannon, che voleva usare la sua candidatura per lanciare l’assalto alla leadership del partito in Congresso. A quel punto Trump aveva cambiato posizione, appoggiando il giudice.

Poco dopo il Washington Post aveva pubblicato le denunce di alcune donne, che accusavano Moore di averle molestate quando erano minorenni. La sua candidatura sembrava finita, e anche la figlia del presidente, Ivanka, aveva detto che «c’è un posto speciale all’inferno per chi abusa dei bambini». Il capo della Casa Bianca però era rimasto sulle sue posizioni, sostenendo che non poteva regalare un seggio in Senato ai democratici, perché così la sua maggioranza si sarebe ridotta a soli 51 voti repubblicani contro 49 democratici. Quindi Trump aveva messo la propria agenda davanti alle accuse di pedofilia lanciate contro il giudice, facendo delle elezioni in Alabama un referendum su se stesso: se volete che il mio programma venga realizzato - aveva detto in sostanza agli elettori - dovete votare Moore. Aveva registrato messaggi in suo favore, anche se non aveva fatto comizi con lui, nel timore che poi quelle immagini si ritorcessero contro la sua immagine. Il Partito repubblicano all’inizio aveva tolto il suo appoggio al giudice, temendo le ripercussioni negative del suo eventuale arrivo in Senato, ma dopo la presa di posizione del presidente era tornato a sostenerlo. Le elezioni quindi erano diventate un referendum su Trump, e il suo consigliere Bannon, al punto che anche l’ex presidente Obama era intervenuto nella campagna.

Ieri sera, a sorpresa, Jones ha raccolto oltre 20.000 voti in più del suo avversario, soprattutto grazie all’elettorato nero. Quindi ha celebrato il successo con una frase di Martin Luther King: «L’arco morale dell’universo è lungo, ma pende verso la giustizia». Così voleva sottolineare che la sua vittoria potrebbe diventare un momento di svolta storico per la presidenza Trump, segnando l’inizio del suo declino.

Poco dopo, però, Moore si è rifiutato di riconoscere la sconfitta. Ha detto che le leggi dell’Alabama prevedono la riconta automatica dei voti, se lo scarto tra i candidati è meno dello 0,5%. Il distacco fra lui e Jones in realtà è quasi del 2%, ma la speranza del giudice è che i voti dei militari ancora da considerare riducano la distanza, fino a rendere possibile la riconta. Secondo il segretario di Stato dell’Alabama questa è una possibilità molto remota, ma Moore potrebbe anche chiedere di rivedere tutte le schede a sue spese.

Se la vittoria di Jones verrà confermata, avrà un impatto molto pesante. Trump si è congratulato con lui via Twitter, lamentando però il fatto che circa 20.000 elettori hanno scritto sulla scheda nomi diversi da quello del giudice repubblicano, a causa delle pressioni subite. Fonti della Casa Bianca dicono che in realtà la sconfitta è tutta di Moore, perché è dipesa dai suoi problemi personali. Questa però è una linea difficile da tenere, perché lo stesso presidente aveva chiesto di votare per Roy allo scopo di salvare la sua agenda, facendo del voto un referendum sul proprio programma. Stesso discorso per Bannon, che ha fallito nel tentativo di usare questa candidatura per andare all’assalto dell’establishment del Gop e del suo leader al Senato McConnell.

Oltre all’onta della sconfitta politica, la conferma del successo di Jones porrebbe diversi problemi pratici a Trump. La maggioranza repubblicano al Senato si ridurrebbe a due soli seggi, 51 a 49, e quindi basterebbero solo due defezioni di uomini del Gop a fermare qualunque iniziativa legislativa, dalla rifoma dell’immigrazione al piano per le infrastrutture. I tagli alle tasse poi sono stati approvati, ma in forma diversa da Senato e Camera. Se i due rami del Parlamento non si accorderanno sulla versione definitiva entro la data in cui Jones entrerà in carica, a quel punto basterebbe una sola defezione repubblicana a bloccare la riforma, perché il senatore Corker si è già espresso contro.

Il risultato di ieri rappresenta anche un minaccia in vista delle elezioni midterm del prossimo anno. In teoria i repubblicani sono in vantaggio per conservare la maggioranza al Senato, perché due terzi dei seggi in ballo sono democratici. Se però la sconfitta in Alabama diventa il primo segnale del malcontento verso Trump, oltre che verso i problemi personali di Moore, tutto diventa possibile.

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