Una presa di posizione unitaria e che si annuncia decisamente contraria alla legge sarà partorita dalla discussione al consiglio permanente della Cei, all’inizio del 2018. Ma s’illuderebbe chi pensasse che posizioni come quelle prese dall’arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia siano fughe in avanti destinate a rimanere isolate. La Conferenza episcopale italiana, dal cardinale presidente Gualtiero Bassetti in giù, appare infatti compatta nell’esprimere un giudizio fortemente negativo sul biotestamento all’italiana. E la chiamata all’obiezione di coscienza nelle strutture ospedaliere cattoliche è un dato di fatto. Una decisione annunciata in anticipo proprio da Bassetti, che ai microfoni di Radio Vaticana, prima dell’approvazione della legge, aveva dichiarato: «Come Cei ci sta a cuore anche che venga riconosciuta – oltre alla possibilità di obiezione di coscienza del singolo medico – quella che riguarda le nostre strutture». Il cardinale presidente dei vescovi italiani, pur ammettendo che «non è facile stabilire a priori un confine netto che distingua accanimento terapeutico ed eutanasia», ribadiva che dar da mangiare e da bere sono «gesti essenziali», non terapie.

Giudizi ribaditi a poche ore dall’approvazione della legge da don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio Cei per la Salute, e da don Carmine Arice, padre generale del Cottolengo: «di fronte ad una richiesta di morte, se saremo messi nella condizione, non applicheremo la norma».

La nuova legge sulle DAT è stata definita «censurabile» dal vescovo di Ascoli Piceno Giovanni D’Ercole; «inaccettabile» dal vescovo di Trieste Gianpaolo Crepaldi. Mentre l’ex presidente dei vescovi italiani, cardinale Angelo Bagnasco, dice: «Questa legge non mi rallegra, non è un segno di civiltà».

Nella nuova Carta per gli Operatori Sanitari, pubblicata dal Vaticano a febbraio, si afferma che eventuali legalizzazioni dell’eutanasia suscitano «un grave e preciso obbligo di opporsi mediante obiezione di coscienza». In quello stesso testo si legge pure che «la nutrizione e l’idratazione, anche artificialmente somministrate, rientrano tra le cure di base dovute al morente, quando non risultino troppo gravose o di alcun beneficio». E questo evidentemente lascia aperta la possibilità che possano essere sospese in qualche caso.

Un mese fa sul tema del fine vita era intervenuto Papa Francesco, con parole chiare sul no all’eutanasia, ma anche all’accanimento terapeutico, in una lettera indirizzata a un convegno internazionale sul fine vita in corso in Vaticano. Parole che vennero considerate una svolta aperturista, anche perché negli ultimi decenni diverse voci cattoliche non avevano più sottolineato questo aspetto tradizionale del magistero, finendo per far credere all’opinione pubblica che il rischio dell’accanimento terapeutico quasi non esista.

Se il fronte episcopale appare compatto, qualche voce diversa si leva a livello di esperti. La sezione di Milano dell’Associazione medici cattolici italiani ha affermato che in base all’articolo 5 della legge «l’obiezione del medico non si pone perché il medico può disattendere le DAT quando sono palesemente incongrue». Dunque, sarebbe garantita la sua libertà professionale e di coscienza. Mentre Francesco D’Agostino, il giurista cattolico esperto di bioetica, dalle colonne del Sole 24Ore ha definito «pregiudizi infondati» molte delle critiche rivolte alla legge.

Questo articolo è stato pubblicato nell’edizione odierna del quotidiano La Stampa

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