Dentro il M5S, al di là delle bordate quotidiane, la speranza è che nel Pd dopo il voto si apra una resa dei conti. E che la leadership di Matteo Renzi sia sostituita da qualcuno più dialogante. Magari generoso come fu Pier Luigi Bersani nel 2013, a cui loro risposero a porte in faccia. Ma l’idea è che dal voto di marzo possa uscire un Pd- o almeno una sua parte- disposta a dialogare per il prossimo governo, assieme al gruppo di Pietro Grasso e Bersani, che ha già mandato segnali di disponibilità. Renzi si sta già attrezzando per inzeppare le liste di fedelissimi, e dunque per avere nuovi gruppi parlamentari indisponibili a seguire altre sirene. Ma la svolta del M5S, pronto a siglare un patto programmatico con il nemico numero uno di questi ultimi anni (e a condizione che Renzi non sia più alla guida), fa discutere dentro il gruppo dem, soprattutto tra le minoranze, alle prese con le ansie sulle liste e la consapevolezza che oltre la metà degli attuali parlamentari resterà a casa. Per ora, prevale la diffidenza. «Finalmente un bagno di realismo», risponde Daniele Marantelli, uomo macchina dell’area di Andrea Orlando, che in vena di nostalgie fa un parallelismo e ricorda i tentativi, che lo videro protagonista, di cooptare la Lega di Bossi nell’alveo del centrosinistra. «Ovviamente dopo il voto tutto è possibile, ma quello che manca ai 5 Stelle è l’elaborazione di un pensiero politico coerente. Come hanno cambiato idea sull’immigrazione lo stanno facendo sull’Europa».

Michele Emiliano, uno dei più aperti ai grillini da sempre, coglie nella proposta il fumus della provocazione: «Il dialogo si fa sui contenuti, non sulla pianta organica del Pd. Il segretario lo scelgono i nostri iscritti ed elettori, non Luigi Di Maio. Per fare un accordo ci vuole rispetto reciproco. Quando e come Renzi debba essere sostituto è una decisione che spetta solo a noi». E ancora: «Spero che un dialogo ci sia. Ci provai anni fa qui in Puglia nominando tre di loro assessori regionali, ma loro respinsero la nomina. Se avessimo iniziato qui, avremmo già fatto un bel pezzo di strada insieme…». Anche Gianni Cuperlo, leader della sinistra dem, non chiude del tutto ma è cauto: «Nel M5s vedo un impronta non risolta, che alterna minacce sovraniste a resistenze nocive su temi di civiltà come lo ius soli, ma anche prove di ragionevolezza su temi come il biotestamento». Dunque? «La sinistra deve ricostruire se stessa, rifuggendo da facili scorciatoie verso il potere. E sulla base delle loro posizioni non vedo le condizioni per una alleanza fondata su una condivisione politica». Ancora più netto Andrea Martella, coordinatore dell’area Orlando: «Non credo all’ipotesi di maggioranze con M5s e pezzi di Pd. Le loro posizioni su Europa e pensioni, per fare due esempi, sono incompatibili con tutto il Pd. Sono convinto che resteranno condannati all’isolamento». «Chi li ha inseguiti, come a volte ha fatto Renzi, ha solo preso botte», spiega Martella.

Il segretario dem e i suoi in ogni caso stanno prendendo le contromisure. Il senatore Stefano Esposito si spiega con una battuta: «Se facciamo l’accordo con i 5 Stelle rifondo il Partito comunista internazionale». Poi si fa serio: «Renzi non farà l’errore che fece Bersani quando organizzò i gruppi parlamentari. I prossimi dovranno essere pronti ad andare al governo come all’opposizione. Ma soprattutto pronti a tornare a casa dopo pochi mesi».

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