C’erano i ragazzi finalmente liberi dalla droga e dalle altre dipendenze o che stanno lottando per esserlo, le ragazze madri e le donne vittime di abbandono e violenze con in braccio i loro bambini, i rifugiati politici, i loro familiari e gli operatori. E c’era pure la sindaca di Roma Virginia Raggi, con la quale prima della messa si è intrattenuto per un breve scambio di vedute sulla situazione internazionale e sui problemi di Roma, in particolare la piaga della droga che «sta tornando» preponderante. Per il terzo anno consecutivo il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, torna al CeIs, il centro di solidarietà in via Attilio Ambrosini frutto visibile della missione di don Mario Picchi di farsi prossimo a tutti i ragazzi caduti nelle rete delle droghe, per celebrare la messa di Natale e portare a queste «periferie esistenziali» l’abbraccio di Papa Francesco.

«Voi siete la testimonianza più eloquente di quanto l’intuizione di don Mario Picchi sia stata non solo profetica, ma feconda. Voi siete la sua eredità più preziosa. Voi siete il dono più bello per la Chiesa che vi ama e che vi dice che non siete soli e abbandonati, ma parte di una grande famiglia. Qui avete trovato la grande famiglia del CeIS che vi ha aperto le braccia e vi ha accolto come figli», ha detto il cardinale nella sua omelia.

Durante la quale ha incoraggiato a proseguire «con determinazione» il cammino nella lotta alle dipendenze, anche se lungo e pieno di ostacoli: «Siete un esempio luminoso mentre assistiamo a un drammatico ritorno, anche qui a Roma, dell’eroina. Non diamoci mai per vinti».

Parolin ha centrato la sua riflessione sul significato del Natale che oggi rischia di rimanere una festa vuota, dove «il grande assente della festa» è proprio lui, Gesù, la cui nascita finisce per essere derubricata a «fatto storico lontano nel tempo». Nulla più. «Questa sera, dal momento che siamo in un clima di famiglia, vorrei farvi subito una domanda: può esserci una festa senza festeggiato? Può essere Natale senza Gesù? Non vi chiedo di rispondermi ad alta voce, ma ognuno sicuramente lo sta già facendo nel suo cuore», ha detto il Segretario di Stato. «Certo – ha aggiunto - se guardiamo le nostre strade e i negozi addobbati, se accendiamo la televisione e vediamo tutti i programmi natalizi che ogni anno vengono mandati in onda, siamo portati a rispondere di sì… Vedendo tante luci, tanti festoni, tanti addobbi, ho sentito particolarmente pungente quest’anno la domanda: ma la gente sa il perché di tutto questo? Il senso di tutto questo? Il fine di tutto questo?».

«Rischiamo di celebrare il Natale di Gesù dimenticandoci di lui», ha ammonito il porporato. «Gesù, invece, rinasce ogni giorno, anche oggi nei nostri cuori e lo ha fatto in modo particolare proprio in voi che avete deciso di cambiare vita dopo un periodo drammatico delle vostre esistenze segnato dalle dipendenze. Il Natale non è, dunque, soltanto un evento storico, ma si rinnova sempre in noi perché il Signore vuole farci rinascere con lui a una vita che sia degna di essere vissuta».

Allora come vivere questa festa? «C’è chi crede che basti fare l’albero e il presepe, comprare tanti regali, inviare una marea di messaggini di auguri identici su WhatsApp, magari accompagnati da immagini e video di tema natalizio», ha detto il cardinale non senza una punta di ironia. Tutto molto bello, tuttavia se da un lato è importante ricordarsi di fare gli auguri a chi ci è accanto, dall’altro «per vivere davvero questo avvenimento centrale della nostra storia» bisogna mettere in pratica il Vangelo ed «essere umili e aprirsi all’altro».

«Come fare in una società in cui la diffidenza verso lo straniero aumenta sempre di più?», ha domandato Parolin. «Se ci chiudiamo in noi stessi non potremo mai vivere il Natale di Gesù. Ma questa chiusura a volte, purtroppo, non avviene soltanto all’esterno, ma inizia già tra le mura domestiche. Tra di voi – ha ricordato - ci sono donne che sono state vittime di violenze indicibili commesse proprio dai vostri ex fidanzati ed ex mariti e portate sulla vostra pelle e nel vostro animo queste immani sofferenze. Siete testimoni di quel Vangelo della sofferenza di cui ci ha parlato con la sua stessa vita San Giovanni Paolo II».

«Il Signore ci indica la strada della carità che non è pietismo», ha chiarito il cardinale. «Non è fare l’elemosina distrattamente per non essere più infastiditi da coloro che ce la chiedono per le nostre strade senza “toccare la carne di Cristo”, per usare un’espressione tanto cara a Papa Francesco». Si tratta, invece, di «entrare in una profonda comunione» con l’altro, con il prossimo.

Proprio come ha fatto don Mario Picchi sul finire degli anni ’60, quando ha deciso di invertire le priorità del suo sacerdozio e uscire per strada per assecondare a quella «profonda vocazione» ad «essere vicino a coloro che erano vittime della droga». «Don Picchi è stato un vero e proprio pioniere in questo campo anche per la filosofia innovativa con la quale ha affrontato questo problema drammatico e purtroppo sempre attuale mettendo l’uomo al centro di tutto», ha rammentato il cardinale. Don Mario si era posto una domanda cruciale: «La Chiesa deve occuparsi della tossicodipendenza?». «Può sorgere – scriveva – la tentazione di chiedersi se sia effettivamente compito della Chiesa cercare di dare risposte in questo campo specifico, ma il forte richiamo del magistero ecclesiastico, delle Conferenze episcopali, del Sinodo dei vescovi e di tanti Superiori generali dei religiosi, non lasciano alcun dubbio circa l’identità delle vittime della droga: essi sono i nuovi poveri del nostro tempo. E a questi poveri è rivolta la Parola, il gesto, l’Amore di Cristo che sulla strada di Gerico si china sull’uomo per medicarne le ferite».

Il segretario di Stato fa sue, quindi, le parole del sacerdote romano: «La sfida che ci viene dalla droga è un confronto sereno ma implacabile, sulla parola del Vangelo, circa le risposte che sapremo dare per essere autenticamente Chiesa, per conciliare la speranza cristiana con le attese di giustizia e carità del mondo». E ancora una volta ribadisce la posizione della Chiesa che, come ripetuto già da Papa Francesco, dice «un chiaro no ad ogni tipo di droga».

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