«“Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto” (Gv 1,11). Così la grande questione morale su come stiano le cose da noi riguardo ai profughi, ai rifugiati, ai migranti ottiene un senso ancora più fondamentale: abbiamo veramente posto per Dio, quando Egli cerca di entrare da noi? Abbiamo tempo e spazio per Lui? Non è forse proprio Dio stesso ad essere respinto da noi?». Parola del Papa che la notte di Natale prende spunto dalla precarietà delle condizioni della nascita di Betlemme - «non c’era posto per loro nell’alloggio» - per ricordarci che anche oggi facciamo fatica a riconoscerlo in chi è migrante e rifugiato come lo era Gesù bambino.

 

Francesco ha dedicato a questo tema l’omelia della notte di Natale, commentando il Vangelo di Luca e la descrizione della nascita del Salvatore deposto nella mangiatoia e adorato dai più umili tra gli umili, quei pastori reietti dalla società dell’epoca. L’omelia di Bergoglio ha scatenato la notte stessa di Natale commenti feroci e adirati sui social da parte di commentatori scandalizzati perché il Pontefice aveva parlato di poveri, migranti e rifugiati, cioè della situazione concreta vissuta dalla famiglia di Nazaret.

 

Ma le parole che abbiamo citato all’inizio non sono di Papa Francesco. Sono di Benedetto XVI, pronunciate il 24 dicembre 2012 nella sua ultima omelia della notte di Natale prima della rinuncia. «Non c’è posto per Lui – diceva Papa Ratzinger - Anche nel nostro sentire e volere non c’è lo spazio per Lui. Noi vogliamo noi stessi, vogliamo le cose che si possono toccare, la felicità sperimentabile, il successo dei nostri progetti personali e delle nostre intenzioni. Siamo completamente “riempiti” di noi stessi, così che non rimane alcuno spazio per Dio. E per questo non c’è neppure spazio per gli altri, per i bambini, per i poveri, per gli stranieri».

 

«Preghiamo il Signore – diceva Benedetto XVI - affinché diventiamo vigili verso la sua presenza, affinché sentiamo come Egli bussa in modo sommesso eppure insistente alla porta del nostro essere e del nostro volere. Preghiamolo affinché nel nostro intimo si crei uno spazio per Lui. E affinché in questo modo possiamo riconoscerlo anche in coloro mediante i quali si rivolge a noi: nei bambini, nei sofferenti e negli abbandonati, negli emarginati e nei poveri di questo mondo… Se la luce di Dio si spegne – aggiungeva - si spegne anche la dignità divina dell’uomo. Allora egli non è più l’immagine di Dio, che dobbiamo onorare in ciascuno, nel debole, nello straniero, nel povero». Non è “pauperismo”, è semplicemente il Vangelo, quello che riecheggia nelle parole di Papa Ratzinger e di Papa Bergoglio. Quest’ultimo nell’omelia della notte di Natale ha detto: «Nel Bambino di Betlemme, Dio ci viene incontro per renderci protagonisti della vita che ci circonda. Si offre perché lo prendiamo tra le braccia, perché lo solleviamo e lo abbracciamo. Perché in Lui non abbiamo paura di prendere tra le braccia, sollevare e abbracciare l’assetato, il forestiero, l’ignudo, il malato, il carcerato».

 

Dio l’Onnipotente che si fa piccolo, inerme, bambino totalmente dipendente dalle cure di un padre e di una madre, che nasce in viaggio, lontano da casa e in condizioni precarie. Che ancora piccolo è costretto a rifugiarsi in un Paese straniero per aver salva la vita. Il racconto evangelico rappresenta una realtà che – nonostante gli equilibrismi dialettici e le capriole identitarie – ben difficilmente può essere usata contro qualcuno, per giustificare sogni egemonici o per serrare le fila di improbabili crociate. Difficile è anche fingere di non vedere l’attinenza con i drammi che stiamo vivendo nel nostro tempo. Quell’attinenza che due Vescovi di Roma molto diversi tra loro hanno colto e sottolineato in occasione del Natale. 

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