«C’è bisogno di una teologia che aiuti tutti i cristiani ad annunciare e mostrare, soprattutto, il volto salvifico di Dio, il Dio misericordioso, specie al cospetto di alcune inedite sfide che coinvolgono oggi l’umano: come quella della crisi ecologica, dello sviluppo delle neuroscienze o delle tecniche che possono modificare l’uomo; come quella delle sempre più grandi disuguaglianze sociali o delle migrazioni di interi popoli; come quella del relativismo teorico ma anche di quello pratico» è questo uno dei passaggi più significativi del discorso di papa Francesco rivolto ai rappresentanti dell’Associazione teologica italiana, oggi in udienza in Vaticano, a conclusione del XXVIII congresso nazionale «Tempo dello Spirito» svoltosi in questi giorni a Roma a cinquant’anni dalla nascita.

Nel saluto e ringraziamento rivolto al Papa dal presidente dell’Ati, don Roberto Repole ha ricordato che: «Siamo nati all’indomani del Concilio Vaticano II, con l’intenzione che i fondatori hanno avuto e trasmesso di ‘tradurre il Concilio in italiano’; per questo il Concilio è, per così dire, ‘il nostro marchio di fabbrica’. E in questo mezzo secolo l’Associazione ha rappresentato la casa di quanti, in Italia, hanno svolto il ministero teologico e il luogo in cui si è potuto fare una reale ricerca teologica, dall’interno di una comunità: in quel confronto libero e franco che tale ricerca richiede e presuppone; e nel rispetto delle posizioni anche le più diverse, che non può mancare quando si sia sinceramente appassionati della sempre sovrabbondante Verità che è Cristo. Mi sento di poter dire che, pur con tutti i nostri limiti umani, l’Associazione Teologica Italiana è stata e continua ad essere uno dei più importanti luoghi di elaborazione teologica in Italia, ma anche di reale fraternità teologica: ben sapendo che la fraternità cristiana contempla una alterità autentica e non è mai riducibile alla omologazione uniformante».

Nel suo discorso Francesco ha sottolineato sia «un chiaro frutto del Concilio e una ricchezza da non disperdere il fatto che abbiate avvertito e continuiate a sentire l’esigenza di ‘fare teologia insieme’, come Associazione, che annovera oggi oltre 330 teologi. Questo aspetto è un fatto di stile, che esprime già qualcosa di essenziale della Verità al cui servizio si pone la teologia. Non si può pensare, infatti, di servire la Verità di un Dio che è Amore, eterna comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e il cui disegno salvifico è quello della comunione degli uomini con Lui e tra loro, facendolo in modo individualistico, particolaristico o, peggio ancora, in una logica competitiva. Quella dei teologi non può che essere una ricerca personale; ma di persone che sono immerse in una comunità teologica la più ampia possibile, di cui si sentono e fanno realmente parte, coinvolte in legami di solidarietà e anche di amicizia autentica».

Inoltre Bergoglio ha sottolineato come «È soprattutto nel desiderio e nella prospettiva di una Chiesa in uscita missionaria che il ministero teologico risulta, in questo frangente storico, particolarmente importante e urgente. Infatti, una Chiesa che si ripensa così si preoccupa, come ho detto nella Evangelii gaudium, di rendere evidente alle donne e agli uomini quale sia il centro e il nucleo fondamentale del Vangelo, ovvero “la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto” (n. 36). Un tale compito di essenzialità, nell’epoca della complessità e di uno sviluppo scientifico e tecnico senza precedenti e in una cultura che è stata permeata, nel passato, dal cristianesimo ma nella quale possono oggi serpeggiare visioni distorte del cuore stesso del Vangelo, rende infatti indispensabile un grande lavoro teologico».

Per papa Francesco il teologo è quello che studia, pensa, riflette, ma lo fa in ginocchio, ha ricordato ai rappresentanti dell’Associazione teologica. «Fare teologia in ginocchio, come i grandi Padri. I grandi Padri che pensavano, pregavano, adoravano, lodavano: la teologia forte, che è fondamento di tutto lo sviluppo teologico cristiano. E anche ripetere una terza cosa che ho detto qui, ma voglio ripeterla perché è importante: fare teologia nella Chiesa, cioè nel santo popolo fedele di Dio, che ha – lo dirò con una parola non teologica – che ha il “fiuto” della fede. Ricordo, una volta, in una confessione, il dialogo che ho avuto con un’anziana portoghese che si accusava di peccati che non esistevano, ma era così tanto credente! E io le ho fatto qualche domanda e lei rispondeva bene; e alla fine mi è venuta voglia di dirle: “Ma, mi dica, signora: lei ha studiato alla Gregoriana?”. Era proprio una donna semplice, semplice, ma aveva il “fiuto”, aveva il sensus fidei, quello che nella fede non può sbagliare».

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