Si svolgeranno martedì 2 gennaio - alle 14,30 - nella chiesa dei Santi Gervasio e Protasio di Bry-sur-Marne, i funerali di padre Maurice Borrmans, il famoso islamologo, membro dei Missionari d’Africa (i cosiddetti « Padri Bianchi») mancato a 92 anni lo scorso 26 dicembre in ospedale a Sainte-Foy-lès-Lyon. Con il suo addio viene a mancare una delle voci più autorevoli e apprezzate del dialogo fra cristiani e musulmani, al quale - nel solco di Charles de Foucauld, del cardinale Lavigerie e di Louis Massignon – padre Borrmans ha dedicato tutta la sua vita.

Di cognome fiammingo, francese all’anagrafe, arabo nel cuore, missionario nell’anima, cosmopolita per cultura, romano per motivi professionali, aveva trascorso i suoi primi vent’anni in Francia dov’era nato (a Lille nel 1925), i successivi venti anni in Tunisia e in Algeria (dove - dopo la professione perpetua presso i Missionari d’Africa e l’ordinazione presbiterale a Thibar nel ’49- aveva studiato a La Manouba e all’Università di Algeri iniziando subito a insegnare), poi parecchi anni in Medio Oriente (in particolare fra l’’81 e l’’84 come assistente parrocchiale nel Bahrein a servizio dei quasi 20mila cattolici residenti specialmente asiatici), ma soprattutto, per oltre trent’anni era stato Docente a Roma al Pontificio Istituto di Studi arabi e Islamistica (Pisai) insegnando Diritto musulmano, Storia delle Relazioni islamico-cristiane, Spiritualità Musulmana e Lingua araba.

Non a caso proprio ieri, esprimendo il suo cordoglio anche a nome della Conferenza episcopale francese, monsignor Jean-Marc Aveline, ausiliare di Marsiglia e presidente del «Conseil pour les relations interreligieuses et les nouveaux courants religieux», ha affermato che «l’opera immensa di padre Borrmans ci lascia un’eredità preziosa che è importante raccogliere, non solo per meglio comprendere l’islam ed entrare in dialogo con i musulmani, ma pure per meglio esprimere l’originalità della fede cristiana grazie ai suoi due polmoni, quello d’Oriente e d’Occidente».

Si tratta di un’eredità facile da ritrovare nella sua vasta produzione editoriale, nei tanti interventi in occasione di convegni in molte città (Tunisi, Amman, Beirut, Roma, Cordova, Istanbul, Parigi, Algeri...), in parecchi volumi specialistici (di taglio giuridico, storico, teologico) e di alta divulgazione (fra i titoli apparsi in italiano si ricordano qui: «Orientamenti per un dialogo tra cristiani e musulmani» edito dall’Urbaniana University Press in prima edizione nel 1988, poi rinnovata nel 2016; «Islam e Cristianesimo: le vie del dialogo» per i tipi delle Edizioni Paoline nel 1993; «Gesù Cristo e i musulmani del XX secolo» pubblicato dalle Edizioni San Paolo nel 2000). Ma a quest’eredità appartiene anche uno stile, quello di uno studioso accorto, tenace, al contempo semplice e capace di grande amicizia. Uno studioso innanzitutto consapevole - come diceva - che dei 5 miliardi di essere umani del pianeta «tutti creati ad immagine del Signore» un miliardo ovvero «una persona su cinque è musulmana» e che dunque «dappertutto stiamo gomito a gomito, in maggioranza o in minoranza». Uno studioso poi con una grande capacità di lavoro vissuta con passione dai tempi in cui - approdato a Roma da Tunisi nel ’64 con il trasferimento dell’Istituto di studi da cui prese vita il Pisai - collaborava con l’équipe messasi a servizio del Segretariato per i non Cristiani creato da Paolo VI (poi diventato Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso); palesata lungo i quasi trent’anni di direzione della rivista trilingue (francese, inglese, arabo) «Islamo-christiana»; sino al «ritiro» nel 2004, un pensionamento piuttosto formale, durante il quale hanno visto la luce suoi interessanti saggi come – tra gli altri - «ABC per capire i musulmani» per i tipi delle Edizioni San Paolo nel 2007, «Prophètes du dialogue: Louis Massignon, Jean-Mohammed Abd-el-Jalil, Louis Gardet, Georges C.Anawati» pubblicato con le Éditions du Cerf, nel 2009, «Dialoguer avec les musulmans, une cause perdue ou une cause à gagner?» edito da Tequi nel 2011, ecc. Infine, si è detto, uno studioso, semplice e capace di autentica empatia come del resto ben sanno i molti gratificati dalla sua stima e dal suo aiuto. E «così semplice da sfiorare talora l’ingenuità», «così meravigliosamente complesso da sembrare irraggiungibile», insomma «un gigante del dialogo islamo-cristiano», così don Valentino Cottini, alla laudatio di padre Borrmans in occasione della Laurea honoris causa in Missiologia conferitagli dalla Pontificia Università Urbaniana il 27 ottobre 2015. Nello stesso intervento il preside del Pisai sottolineava un altro aspetto importante di padre Borrmans ricordando il suo essere rimasto «rocciosamente cristiano-cattolico e missionario, mai proselitista».

«Questa affermazione potrebbe essere fraintesa, perché la si dà per scontata. Ma non lo è, né in un senso né nell’altro», continuava Valentini. Aggiungendo «Da prete che ha sempre amato la pastorale e da missionario esprime un amore viscerale per i musulmani sia noti sia sconosciuti, e mentre li rispetta nella loro fede, prega continuamente perché si aprano all’accoglienza di Gesù Cristo. In questo senso è possibile comprendere, per esempio, sia la pratica sia la pubblicazione di quell’intuizione particolare di Louis Massignon e di Mary Kahil che è la badaliya, cioè l’offerta della propria vita per i musulmani, sia anche altre forme di devozione, come il pellegrinaggio annuale “au Vieux Marché”, in Bretagna, alla cappella dei sette dormienti di Efeso».

Per diversi anni consultore del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, proprio al Pisai, padre Maurice aveva intrecciato una profonda amicizia e una consonanza intellettuale con Christian de Chergé, suo allievo, trappista, poi priore del monastero di Tibhirine, in Algeria, rapito assieme a sei confratelli nella notte tra il 26 e il 27 marzo del 1996 e assassinato con loro presumibilmente il 21 maggio dal «Gruppo Islamico Armato» (il 30 maggio furono trovate le teste dei monaci, non i loro corpi).

Di quel rapporto intenso restano le settantaquattro lettere indirizzate da de Chergé all’ex Professore edite l’anno scorso dall’ Urbaniana University Press con il titolo «Lettere a un amico fraterno», specchio dell’itinerario di un uomo che cercava e onorava il dialogo con gli uomini di preghiera dell’islam. Così era anche Borrmans, il Padre Bianco che ai suoi studenti ribadiva «nello specchio dell’altro e della religione dell’altro, ritrovo la specificità della mia propria fede. Siamo così costretti a praticare il dialogo, diciamo, “delle vette” e non “delle pianure”...», convinto però di una cosa «prima bisogna sapere un po’ che cos’è la fede del musulmano e che cos’è la fede del cristiano».

La conoscenza, di fatto, è stata in padre Maurice la premessa di un interesse e una passione che - non va dimenticato - gli causarono anche problemi da parte di studiosi meno inclini a stabilire relazioni di fiducia con persone e istituzioni del mondo musulmano. Al tempo stesso, lo ha ricordato tempo fa don Cottini, hanno testimoniato in lui «un profondo equilibrio, una via media (per molti versi così cara anche all’islam) che non è affatto ingenua, ma che segue e si inserisce nel magistero della Chiesa cattolica e non si stanca di gettare ponti dovunque possano essere gettati».

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