Per i suoi settant’anni le parole più significative sono quelle ricevute dal Papa emerito Benedetto XVI: il cardinale Gerhard Ludwig Müller ha «difeso le chiare tradizioni della fede, ma nello spirito di Papa Francesco» ha «cercato di capire come possano essere vissute oggi». E proprio in questo senso andava il corposo e articolato saggio introduttivo che il porporato tedesco ha voluto scrivere in appoggio all’iniziativa del filosofo Rocco Buttiglione, il quale ha raccolto in un volume di recente pubblicazione i suoi contributi per una lettura di Amoris laetitia al di là degli opposti estremismi ma consapevole del passo compiuto. Ormai da molti anni, prima da cardinale e poi da Papa, Joseph Ratzinger aveva parlato del problema rappresentato dai sempre più numerosi matrimoni celebrati senza fede e senza la consapevolezza del sacramento. Un problema preso in considerazione dallo stesso Müller in una lettera pastorale pubblicata all’inizio del suo episcopato a Ratisbona. In questa intervista con Vatican Insider il cardinale torna sui dubia dei cardinali e approfondisce alcuni passaggi dell’introduzione al libro di Buttiglione.

Eminenza, perché ha sostenuto il libro del filosofo Rocco Buttiglione su Amoris laetitia?

«L’intenzione del mio amico Rocco Buttiglione in questo libro è di offrire risposte competenti a domande formulate in modo competente. Io ho voluto appoggiare questo contributo ad un dialogo onesto senza faziosità e senza polemica. In tedesco c’è un modo di dire: “chi vuole mettere pace prende le botte da tutte e due le parti”. Credo però che dobbiamo accettare questo rischio per amore alla verità del Vangelo e all’unità della Chiesa».

Crede che il libro del professor Buttiglione abbia risposto ai famosi dubia formulati dai quattro cardinali?

«Sono convinto che egli abbia dissipato i dubbi dei cardinali e di molti cattolici che temevano che in “Amoris Laetitia” si fosse realizzata una alterazione sostanziale della dottrina della fede sia sul modo valido e fecondo di ricevere la santa comunione come anche sulla indissolubilità di un matrimonio validamente contratto fra battezzati».

L’impressione che si ricava leggendo il testo dei cinque dubia dei cardinali è quella di non trovarsi di fronte a vere e proprie domande, cioè a dubbi espressi per avere una risposta in un senso o nell’altro, ma piuttosto a domande un po’ retoriche che portano verso una direzione già prestabilita. Che cosa ne pensa?

«In tutte le mie prese di posizione, che mi sono state richieste da molte parti, io ho sempre cercato di superare le polarizzazioni ed un modo di pensare per campi contrapposti. Per questo il professor Buttiglione mi ha chiesto per il suo libro un’introduzione con il titolo “Perché si può e si deve interpretare Amoris Laetitia in senso ortodosso”. Adesso però non dobbiamo perdere tempo con la questione del modo in cui siamo entrati in questa situazione piena di tensioni, ma concentrarci piuttosto sul modo in cui ne usciamo, Abbiamo bisogno di più fiducia e più attenzione benevola gli uni per gli altri. Da cristiani non dobbiamo mai dubitare della buona volontà dei nostri fratelli ma “ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a sé stesso” (Fil. 2,3) - così l’Apostolo ci ammonisce di avere tutti gli stessi sentimenti nell’amore».

Nel saggio introduttivo al libro di Buttiglione lei parla almeno di una eccezione riguardante i sacramenti per chi vive una seconda unione, quella riguardante coloro che non possono ottenere la nullità matrimoniale in tribunale ma sono convinti in coscienza della nullità del primo matrimonio. Questa ipotesi venne già considerata, nell’anno 2000, dall’allora cardinale Joseph Ratzinger. In questo caso si può aprire la via ai sacramenti? Amoris laetitia potrebbe essere considerata uno sviluppo di quella posizione?

«Davanti alla spesso insufficiente istruzione nella dottrina cattolica, e in un ambiente secolarizzato in cui il matrimonio cristiano non costituisce un esempio di vita convincente, si pone il problema della validità anche di matrimoni celebrati secondo il rito canonico. Esiste un diritto naturale di contrarre un matrimonio con una persona del sesso opposto. Questo vale anche per i cattolici che si sono allontanati dalla fede o hanno mantenuto solo un legame superficiale con la Chiesa. Come considerare la situazione di quei cattolici che non apprezzano la sacramentalità del matrimonio cristiano o addirittura la negano? Su questo il cardinale Ratzinger voleva che si riflettesse, senza avere una soluzione bella e pronta. Non si tratta di costruire artificialmente un qualche pretesto per poter dare la comunione. Chi non riconosce o non prende sul serio il matrimonio come sacramento nel senso in cui lo considera la Chiesa non può neppure, e questa è la cosa più importante, ricevere nella santa comunione Cristo che è il fondamento della grazia sacramentale del matrimonio. Qui dovrebbe esserci prima di tutto una conversione all’intero mistero della fede. Solo alla luce di queste considerazioni può un buon pastore chiarire la situazione familiare e matrimoniale. È possibile che il penitente sia convinto in coscienza, e con buone ragioni, della invalidità del primo matrimonio pur non potendone offrire la prova canonica. In questo caso il matrimonio valido davanti a Dio sarebbe il secondo e il pastore potrebbe concedere il sacramento, certo con le precauzioni opportune per non scandalizzare la comunità dei fedeli e non indebolire la convinzione nella indissolubilità del matrimonio».

Siamo di fronte a un numero sempre maggiore di casi di matrimoni celebrati senza vera fede tra persone che poi dopo pochi anni (a volte pochi mesi) si lasciano. E magari successivamente, dopo aver contratto una nuova unione civile, incontrano davvero la fede cristiana e intraprendono un cammino. Come agire in questi casi?

«Qui non abbiamo ancora una risposta consolidata. Dovremmo però sviluppare criteri senza cadere nella trappola della casuistica. Teoricamente è abbastanza facile definire la differenza fra un non credente battezzato e un cosiddetto “cristiano solo di nome” che giunge più tardi alla pienezza della fede. Più difficile è verificare questo nella concreta realtà del singolo uomo nel pellegrinaggio della sua vita. Fedele alla Parola di Dio la Chiesa non riconosce nessuno scioglimento del vincolo matrimoniale e quindi nessuna sua divisione. Un matrimonio sacramentale valido davanti a Dio e davanti alla Chiesa non può venire sciolto né dagli sposi né dalla autorità della Chiesa e naturalmente non può esserlo neppure da un divorzio civile seguito da un nuovo matrimonio. Diverso è il caso, che già abbiamo richiamato, di un matrimonio invalido fin dal principio per la mancanza di un vero consenso. Qui non si scioglie o non si considera irrilevante un matrimonio valido. Si riconosce semplicemente che quello che sembrava essere un matrimonio in realtà non lo è».

Nel suo saggio introduttivo al libro di Buttiglione lei parla anche della diminuita imputabilità della colpa di chi «non sia ancora in grado di soddisfare a tutte le esigenze della legge morale». Che cosa significa?

«Il peccato mortale ci toglie la vita soprannaturale nella grazia. Il suo principio formale è la volontà di contraddire la santa volontà di Dio. A ciò si aggiunge la “materia” di azioni in grave conflitto contro la dottrina della fede della Chiesa e la sua unità con il Papa ed i vescovi, la santità dei sacramenti e i comandamenti di Dio. Il cattolico non può scusarsi dicendo di non sapere tutte queste cose. Esistono però persone che, senza propria colpa grave, non hanno ricevuto una sufficiente istruzione religiosa e vivono in un ambiente spirituale e culturale che mette in pericolo il sentire cum Ecclesia. Qui c’è bisogno del buon pastore che, questa volta, non deve respingere i lupi con il suo bastone ma - secondo il modello del buon Samaritano- versare olio e vino nelle ferite e ricoverare il ferito nella locanda che è la Chiesa».

Nel suo intervento introduttivo lei ricorda anche la dottrina tradizionale secondo la quale «per la imputabilità della colpa nel giudizio di Dio bisogna considerare i fattori soggettivi come la piena coscienza e il deliberato consenso nella grave mancanza contro i comandamenti di Dio». Dunque ci possono essere casi in cui mancando la piena coscienza e il deliberato consenso l’imputabilità è diminuita?

«Chi nel sacramento della Penitenza chiede la riconciliazione con Dio e con la Chiesa deve confessare tutti i suoi peccati gravi dei quali egli si ricorda dopo un approfondito esame di coscienza. Solo Dio può misurare la gravità dei peccati commessi contro i suoi comandamenti perché Lui solo conosce il cuore degli uomini. Le circostanze, che Dio solo conosce, che diminuiscono la colpa e la pena davanti al suo tribunale, sono di tipo diverso da quelle che si possono giudicare dall’esterno, come quelle che possono mettere in questione la validità di un matrimonio. La Chiesa può amministrare i sacramenti come strumenti della grazia solo conformemente al modo in cui Cristo li ha istituiti. San Tommaso d’Aquino distingue il sacramento della penitenza dall’eucarestia in quanto la prima è una medicina che purifica (purgativa) mentre la seconda è una medicina che edifica (confortativa). Se le si scambia l’una per l’altra si fa danno o al malato o al sano. Chi si ricorda di un peccato grave deve prima di tutto ricevere il sacramento della penitenza. Per questo è necessario il pentimento e il proposito di evitare le occasioni prossime di peccato. Senza di questo non si dà il perdono sacramentale. Questa è in ogni caso la dottrina della Chiesa. Nella introduzione al libro di Buttiglione ho citato anche i passaggi rilevanti del magistero più autorevole. Tuttavia i credenti hanno anche diritto ad un accompagnamento attento che corrisponda al loro personale itinerario di fede. Nell’accompagnamento pastorale e soprattutto nel sacramento della penitenza il prete deve aiutare nell’esame di coscienza. Il credente non può decidere da solo in coscienza se riconoscere o meno i comandamenti di Dio come giusti e vincolanti per lui. Piuttosto noi esaminiamo in coscienza i nostri pensieri, le nostre parole, le nostre opere e le nostre omissioni alla luce della Sua santa volontà. Invece di giustificarci da soli preghiamo Dio umilmente e “con uno spirito contrito” (Salmo 51,19) per il perdono anche dei peccati che non sappiamo di avere commesso. Così è possibile un nuovo inizio».

Come si superano allora i rischi opposti del soggettivismo e del legalismo? Come si tiene conto delle singole vicende concrete, a volte drammatiche?

«Nella visione cattolica la coscienza del singolo, i comandamenti di Dio e la autorità della Chiesa non stanno isolati l’uno davanti all’altro ma stanno l’uno con l’altro in una connessione interna attentamente calibrata. Questo esclude sia un legalismo come anche un individualismo autoreferenziale. Non è compito nostro giustificare una nuova unione che somiglia ad un matrimonio con una persona che non è il coniuge legittimo. Non ci è permesso nel nostro pensiero ritenere “mondanamente” che Gesù non possa avere preso tanto sul serio la indissolubilità del matrimonio o che essa non possa più essere pretesa dall’uomo di oggi che, a causa dell’allungarsi della durata della vita, non può resistere così a lungo con un unico coniuge. Ci sono però di fatto situazioni drammatiche dalle quali è difficile trovare una via d’uscita. Qui il buon pastore distingue accuratamente le condizioni oggettive e quelle soggettive e dà un consiglio spirituale. Egli però non si erge a Signore sopra la coscienza degli altri. Qui dobbiamo collegare la parola di salvezza di Dio, che nella dottrina della Chiesa viene soltanto trasmessa, con la situazione concreta, nella quale si ritrova l’uomo nel suo peregrinare. È bene qui ricordare anche l’antico principio per cui il confessore non deve turbare la coscienza del penitente in buona fede prima che esso sia cresciuto nella fede e nella conoscenza della dottrina cristiana fino al punto di poter riconoscere il proprio peccato, e formulare il proposito di non più commetterlo. Fra l’obbedienza a Cristo Maestro e l’imitazione di Cristo Buon Pastore non c’è un o-o ma solo un e-e».

Le linee guida pastorali-applicative di Amoris laetitia dei vescovi della regione di Buenos Aires, elogiate dal Pontefice, sono state pubblicate negli Acta Apostolicae Sedis. Come le giudica?

«Questa è una questione sulla quale non vorrei dare alcun giudizio. Nella mia prefazione al libro di Buttiglione ho parlato in generale del rapporto fra il magistero papale e l’autorità delle direttive pastorali dei vescovi diocesani. Non si tratta di decisioni dogmatiche o del caso di una specie di evoluzione del dogma. Si tratta solo di una possibile prassi della amministrazione dei sacramenti dato che in casi così gravi il sacramento della penitenza deve precedere il ricevimento della comunione. A questo proposito bisognerebbe però ricordare che secondo la fede cattolica il sacrificio eucaristico, la santa messa, non si può ridurre al ricevimento (con la bocca) della comunione. Il Concilio di Trento parla di una triplice modalità di ricevimento del sacramento: secondo il desiderio (in voto); il ricevimento con la bocca della santa ostia (la comunione sacramentale); l’intima unione di grazia con Cristo (la comunione spirituale)».

Il volume di Rocco Buttiglione «Risposte amichevoli ai critici di Amoris laetitia» (Edizioni Ares, pp. 208): il filosofo risponde alle critiche rivolte a Papa Francesco, ai “dubiaˮ e alla “correctio filialisˮ. Il libro si apre con un articolato saggio introduttivo del cardinale Gerhard Ludwig Müller, Prefetto emerito della Congregazione per la dottrina della fede

LEGGI ANCHE - Müller, Buttiglione e la “confusioneˮ dei critici del Papa

LEGGI ANCHE - “Ecco la deviazione in cui cadono i critici di Amoris laetitia”

I commenti dei lettori