La confusione nella Chiesa esiste. Però «a provocarla non è certo il Papa ma sono coloro che, per avversarlo, non esitano a moltiplicare le voci di dissenso». Lo afferma il filosofo Massimo Borghesi, autore del primo studio scientifico sul pensiero di Francesco, Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale (edito da Jaka Book), che in questa intervista con Vatican Insider commenta le nuove critiche al pensiero teologico di Joseph Ratzinger, il documento scritto dai tre vescovi kazaki su Amoris laetitia, e la matrice neoscolastica del tradizionalismo che accusa di modernismo il Concilio Vaticano II e i Papi che si sono succeduti da allora.

 

Il nuovo libro di Enrico Maria Radaelli recensito da Antonio Livi, con la sua critica a Ratzinger - individuato come uno dei responsabili della teologia “neomodernista” con derive “ereticali” - dimostra che molti oppositori dell’attuale Pontefice sono in realtà molto critici anche dei suoi predecessori e in ultima analisi, del Concilio Vaticano II. Che cosa ne pensa? 

«Questo è il merito del volume di Enrico Maria Radaelli, Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo,  da poco pubblicato: aver chiarito, in modo evidente, l'orizzonte teologico-filosofico che guida gli oppositori di Papa Francesco. Radaelli ha collaborato per tre anni alla cattedra di Filosofia della Conoscenza, diretta da monsignor Antonio Livi, della Pontificia Università Lateranense ed è curatore dell’Opera omnia di Romano Amerio il cui Iota unum, pubblicato nel 1985, rappresenta una critica radicale del Concilio Vaticano II. Il punto è il Concilio il quale è, per il tradizionalismo, il responsabile degli errori modernisti che avrebbero segnato la Chiesa negli ultimi 50 anni. Come scrive Roberto de Mattei, anche lui critico del Concilio e presidente della Fondazione Lepanto: “L’attuale crisi nella Chiesa non nasce con papa Francesco e non si concentra in una sola persona, ma risale al Concilio Vaticano II e, più indietro ancora, agli anni del modernismo. Oggi larga parte del collegio cardinalizio, del corpo episcopale e, in generale, del clero, è infetto di modernismo”. In questa prospettiva gli attacchi sistematici contro il Papa attuale rientrano in una precisa regia: colpire il Pontefice, inviso a molti per il suo impegno per i poveri, i migranti, ecc., per riportare la Chiesa alla posizione preconciliare. La critica di Redaelli evidenzia come la dialettica tra seguaci di Benedetto e seguaci di Francesco sia una falsa dialettica. Benedetto non è mai stato “ratzingeriano”, non è mai stato il conservatore dipinto dai progressisti, in ciò solidali con i tradizionalisti. La teologia di Ratzinger è la teologia del Concilio. In ciò Redaelli ha pienamente ragione. Ha invece assolutamente torto nelle critiche, modulate da una Scolastica fuori del tempo che, analizzate ad una ad una, rivelano una profonda carenza teologico-filosofica. Il punto, lo ripeto, è il Concilio e Francesco diventa oggi il capro espiatorio della corrente anticonciliare. Lo esprime bene monsignor Livi in un sua recensione di approvazione al volume di Redaelli: “La realtà è che la teologia neomodernista, con la sua evidente deriva ereticale, ha assunto gradualmente un ruolo egemonico nella Chiesa (nei seminari, negli atenei pontifici, nelle commissioni dottrinali delle conferenze episcopali, nei dicasteri della santa Sede), e da queste posizioni di potere ha influito sulle tematiche e sul linguaggio nelle diverse espressioni del magistero ecclesiastico, e di questo influsso hanno risentito (in grado diverso, naturalmente) tutti i documenti del Vaticano II e molti insegnamenti dei Papi del post-concilio. I papi di questo periodo sono stati tutti condizionati, chi per un verso chi per un altro, da questa egemonia”. Per Livi nessun Papa si salva dall'onda modernista, non Paolo VI, non Giovanni Paolo II, non Benedetto XVI. Per i tradizionalisti tutta la Chiesa attuale è “modernista”. Colpire Bergoglio è la strategia per colpire il Vaticano II». 

 

Nei suoi scritti dal Concilio e sul Concilio, l’allora giovane teologo Joseph Ratzinger capovolge lo schema con cui molti sono abituati a guardare a ciò che accadde nel Vaticano II: scrive che si erano manifestate due opzioni a confronto. Da un lato «un pensiero che parte da tutta la vastità della Tradizione cristiana, e in base a essa cerca di descrivere la costante ampiezza delle possibilità ecclesiali». Dall’altro «un pensiero puramente sistematico, che ammette soltanto la presente forma giuridica della Chiesa come criterio delle sue riflessioni, e quindi necessariamente teme che qualsiasi movimento al di fuori di essa sia cadere nel vuoto». Il «conservatorismo» di questa seconda opzione, secondo Ratzinger, si radicava «nella sua estraneità alla storia e quindi in fondo in una “carenza” di Tradizione, cioè di apertura verso l’insieme della storia cristiana». Il futuro Benedetto XVI parlava qui del dibattito sulla collegialità. Secondo lei queste considerazioni aiutano a leggere anche l’attuale dibattito, ad esempio quello su Amoris laetitia? 

«I tradizionalisti sono fermi alla Neoscolastica, cioè ad una particolare interpretazione del tomismo che, nella vulgata cattolica, aveva assunto un valore di dogma. Per loro i “preambula fidei” sono decisivi per accedere ad una fede il cui contenuto si risolve in un dogma al quale la ragione presta il suo “ossequio” in modo “indubitabile”. La ragione porta alla incontrovertibile eliminazione del dubbio. Una fede “indubitabile” è una fede pienamente “razionale”. Siamo di fronte ad un “razionalismo apologetico”, conseguente ad un processo storico che il neotomismo si rifiutava di analizzare. Nella generale reazione al tradizionalismo dell'800, proprio di Bonald, Lamennais, Bonney, Bautain, il quale a sua volta reagiva all'Illuminismo in nome di un fideismo, il tomismo prolungava la lezione del Vaticano I, che condannava molte posizioni dei tradizionalisti, in direzione di un razionalismo cristiano sui generis. Reazione ad una reazione, razionalismo contro fideismo, la Neoscolastica era una filosofia illuminata dalla teologia senza poterlo riconoscere. Questa situazione “ibrida” causerà non pochi problemi al punto che un pensatore come Etienne Gilson dovrà faticare non poco per reimpostare il giusto equilibrio tra fede e ragione. Questo era solo per dirle che la nozione di “tradizione”, rivendicata dai tradizionalisti odierni è, paradossalmente, una nozione “moderna”. I tradizionalisti rifiutano il moderno e, al contempo, hanno una concezione della ragione tipicamente moderna. Ratzinger se ne accorgerà in occasione del suo studio su San Bonaventura, nel 1954: la tradizione cristiana medievale non era la tradizione moderna formulata dai neotomisti. Per la neoscolastica la Rivelazione si riduce all'accettazione del dogma. L'idea della Rivelazione come agire di Dio nel tempo, nella storia, come tensione drammatica tra grazia e libertà umana, è del tutto assente. La Neoscolastica è priva di riflessione storica, di una teologia della storia come di una filosofia della storia. Il risultato è un “positivismo” della Rivelazione accolto passivamente a partire dai “preambula fidei”. Così si pensava di colmare il fossato tra ragione naturale e Logos rivelato».

 

Che cosa pensa del lungo documento, firmato dai tre vescovi del Kazakistan che critica le aperture di Amoris laetitia accusando di fatto il documento di aver sdoganato il divorzio? 

«Quel documento non aggiunge nulla al dibattito che ha accompagnato la pubblicazione di Amoris laetitia. I tre vescovi kazaki hanno solo voluto ribadire il loro no al documento papale. Per alcuni di loro il dissenso era noto e non farebbe notizia se non fosse il pretesto per tenere desta la reazione contro il Papa. In realtà dopo che il cardinal Müller non si è prestato al gioco dei tradizionalisti la lettera dei cinque appare un fuoco fatuo. Proprio a lei il cardinale ha dichiarato, riferendosi al volume di Rocco Buttiglione Risposte amichevoli ai critici di Amoris laetitia, di cui ha steso la prefazione: “Sono convinto che egli [Buttiglione] abbia dissipato i dubbi dei cardinali e di molti cattolici che temevano che in Amoris Laetitia si fosse realizzata una alterazione sostanziale della dottrina della fede sia sul modo valido e fecondo di ricevere la santa comunione come anche sulla indissolubilità di un matrimonio validamente contratto fra battezzati”. Dopo questa dichiarazione di Müller che senso ha continuare a scrivere lettere con cui si richiama il Papa al rispetto della “tradizione”? Il cardinal Müller è stato il prefetto per la Dottrina della Fede, il custode dell'ortodossia riconosciuto come tale anche da coloro che criticavano il Papa. Ora, non appena dichiara che Amoris laetitia non viola la tradizione della Chiesa, non è più riconosciuto, da costoro, come autorevole. Questo è un gioco di basso profilo che fa comprendere come la disputa attuale sia, da parte degli oppositori di Francesco, finalizzata non a comprendere le ragioni ma alla delegittimazione dell'avversario. Roberto de Mattei lo ha dichiarato apertamente nell'intervista che richiamavo prima: “Ci sono momenti nella nostra vita e nella storia della Chiesa in cui si è obbligati a scegliere tra due campi, come sostiene sant’Agostino, senza ambiguità e compromessi. Sotto questo aspetto, la recente pubblicazione negli Acta della lettera di Papa Francesco ai vescovi di Buenos Aires riconduce le posizioni a due poli frontalmente opposti. La linea di quei cardinali, vescovi e teologi che ritengono possibile interpretare Amoris laetitia in continuità con Familiaris consortio n. 84 e altri documenti del Magistero ne esce polverizzata. Amoris laetitia è un documento che discrimina i campi: va accettato o rifiutato in toto. Non c’è una terza posizione e l’inserimento della lettera di papa Francesco ai vescovi argentini ha il merito di renderlo chiaro”».

 

Lei è d’accordo con chi ripete che oggi nella Chiesa c’è “confusione”? 

«La confusione è evidente. Solo che a provocarla non è certo il Papa ma sono coloro che, per avversarlo, non esitano a moltiplicare le voci di dissenso, i segnali di cedimento, la smobilitazione e lo svuotamento delle chiese. Come se i pontificati di Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, fossero stati delle tranquille passeggiate e le folle si fossero riversate alle messe domenicali. L'89 ha privato anche i conservatori della memoria storica. Quello che colpisce nei critici del Papa è l'accanimento nel mettere in luce gli episodi “negativi”. Nei blog, in Facebook, sono alla continua ricerca del caso stonato. Si ha come l'impressione che non abbiano occhi per le testimonianze positive che esistono, innumerevoli, nel mondo. Anche in questo sono “moderni”. Partecipano dell'accecamento dei media che hanno occhi solo per il negativo. In realtà hanno bisogno del negativo per “essere”. Criticano Hegel, come fanno Redaelli e Livi che accusano Ratzinger di essere hegeliano (sic!), e al tempo stesso sono “dialettici”. Per loro porsi significa opporsi. Come in Hegel».

 

Dante diceva che il contrario di un’eresia non è la verità, ma un’eresia di segno opposto. Chi critica Amoris laetitia, affermando che il documento e le sue interpretazioni favoriscono il soggettivismo e l’etica della situazione, non rischia di cadere nell’estremo opposto, quell’oggettivismo che fa tabula rasa del soggetto, delle sue intenzioni, delle circostanze attenuanti, delle storie personali? 

«L'oggettivismo è una caratteristica della Neoscolastica perché il neotomismo si costituisce in opposizione alla soggettività moderna. Nella sua opposizione getta via, con l'acqua sporca, anche il bambino. Non capisce che la dimensione del soggetto, della libertà, è implicata dalla stessa Rivelazione. Diversamente avremmo un Dio imperatore del mondo non il Dio in croce. Per i tradizionalisti, al contrario, ogni sottolineatura del soggetto, dell' “esperienza” della verità, è soggettivismo e, quindi, modernismo. Le accuse ad Amoris laetitia si spiegano anche così. Per i critici tra la norma inviolabile della indissolubilità del matrimonio e il caso particolare non c'è in mezzo nulla. Ogni declinazione peculiare della norma a partire dalle condizioni concrete del soggetto è una caduta nel relativismo, nell'etica della situazione, nel prassismo. Non hanno la minima idea delle sfaccettature implicate dalla teologia morale e dal diritto canonico. Ovunque paventano il pericolo del soggettivismo. I tradizionalisti diffidano non solo del liberalismo etico ma anche di quello politico. L'opposizione al Vaticano II è una opposizione “teologico-politica” al principio della libertà religiosa sancito dal Concilio. Come afferma ancora de Mattei: “Vi può essere un atto del Magistero autentico e solenne, ma erroneo. Tale fu per esempio, a mio parere la dichiarazione conciliare Dignitatis Humanae che, al di là del suo carattere pastorale, è indubbiamente un atto magisteriale e, altrettanto certamente, contraddice, in maniera almeno indiretta e implicita, la dottrina della Chiesa sulla libertà religiosa”. De Mattei non si chiede qui se la tradizione del Sillabo non contrasti con la tradizione della Chiesa dei primi quattro secoli, fino a Teodosio, ferma nell'affermazione del principio della libertà religiosa riaffermato nella Dignitatis Humanae. È quanto chiarisco nel mio volume del 2013 Critica della teologia politica. Da Agostino a Peterson: la fine dell'era costantiniana. Anche qui siamo di fronte alla celebrazione di un volto storico della tradizione che non fa i conti con l'intero sviluppo della tradizione della Chiesa. I tradizionalisti sono antimoderni ed illiberali però sono contro il Papa. Illiberali e protestanti: un paradosso. In realtà sono contro Pietro perché, dopo il Concilio, ha abbandonato le vestigia del potere regale. Criticano la sua autorità perché non vuole avere un'autorità assoluta. Non amano la semplicità del pastore, adorano gli ermellini. Confondono la sacralità con gli orpelli del potere, gli smalti, le cornici dorate. Al fondo sognano il Sacro Romano Impero alla cui perdita non si sono mai rassegnati».

 

Già da molti anni l’allora cardinale Ratzinger poneva la domanda sull’effettiva validità di matrimoni celebrati senza fede. All’origine di molte discussioni nell’attuale stagione ecclesiale sembra esserci, al fondo, il rapporto con la modernità e la domanda sull’evangelizzazione: come si annuncia il Vangelo oggi, in contesti sempre più “liquidi”, scristianizzati e secolarizzati?

«Anche il cardinale Müller, nell'intervista con lei, ha richiamato la riflessione di Ratzinger: “Davanti alla spesso insufficiente istruzione nella dottrina cattolica, e in un ambiente secolarizzato in cui il matrimonio cristiano non costituisce un esempio di vita convincente, si pone il problema della validità anche di matrimoni celebrati secondo il rito canonico. Esiste un diritto naturale di contrarre un matrimonio con una persona del sesso opposto. Questo vale anche per i cattolici che si sono allontanati dalla fede o hanno mantenuto solo un legame superficiale con la Chiesa. Come considerare la situazione di quei cattolici che non apprezzano la sacramentalità del matrimonio cristiano o addirittura la negano? Su questo il cardinale Ratzinger voleva che si riflettesse, senza avere una soluzione bella e pronta.... È possibile che il penitente sia convinto in coscienza, e con buone ragioni, della invalidità del primo matrimonio pur non potendone offrire la prova canonica. In questo caso il matrimonio valido davanti a Dio sarebbe il secondo e il pastore potrebbe concedere il sacramento, certo con le precauzioni opportune per non scandalizzare la comunità dei fedeli e non indebolire la convinzione nella indissolubilità del matrimonio”. Le parole del cardinale sono chiare. Sotto questo profilo Amoris laetitia costituisce un effettivo approfondimento della posizione della Chiesa sul matrimonio. Lo fa tenendo presente l'inviolabilità della norma che non viene attenuata e, insieme, le effettive condizioni storiche in cui si cala, oggi, il messaggio cristiano. L'ottica dell’esortazione apostolica è quella missionaria, di un cristianesimo che, nonostante i segni cristiani provenienti dalla storia, si svolge in un mondo, in larga misura, neopagano. Questo è il punto in cui la posizione del Papa diverge da quella dei tradizionalisti. Per il Papa è l'orizzonte missionario, dettato dall'annuncio e dall'incontro di testimoni segnati dalla misericordia di Dio, che deve guidare la presenza del cristiano nel mondo odierno. Per i tradizionalisti, al contrario, è la nuda riaffermazione del dogma, nella sua diamantina purezza, che deve orientare una presenza militante che vede nel mondo odierno solamente l'avversario di una lotta che non avrà fine. La testimonianza non è compassione, misericordia, fermezza ideale. No, è combattimento, contrasto dialettico tra identità incomponibili, estranee, nemiche. Nella loro critica alla nozione di “dialogo” dei progressisti i tradizionalisti sono diventati, senza accorgersene, dei manichei, in odio all'irenismo del pacifismo appaiono come cantori della guerra».

 

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