Quando, un mese fa, nella war room di Matteo Renzi si analizzava la decisione obbligata del governo di fissare l’election day già si paventavano i rischi: specie per la partita di Nicola Zingaretti nel Lazio contro una destra col vento in poppa su scala nazionale.

Il sentore di pericolo e di sconfitta è molto forte, ma dopo l’apertura a Zingaretti del leader di Liberi e Uguali Piero Grasso, si intravede qualche spiraglio di speranza. Anche se le resistenze di Nicola Fratoianni fanno capire che sulla coalizione col Pd nel Lazio la sinistra è spaccata. I vertici di Leu però dicono che è una decisione politica tutta nazionale: «Zingaretti governa con noi e ora si ripresenta. Non entrare nell’alleanza significa mettere a rischio la regione» raccontano i bersaniani di Mdp, che stanno faticando a convincere Stefano Fassina e i compagni di Sinistra Italiana: «Il tavolo nazionale ha chiesto ai dirigenti laziali di evitare di consegnare la regione a Maurizio Gasparri».

Sì, perché si fa il nome del senatore di Forza Italia come possibile contendente. Lui per adesso si limita a non smentire: «Non ho ancora ricevuto alcuna proposta - spiega - Il mio nome gira come già è avvenuto altre volte». In passato Gasparri declinò l’offerta sia di fare il sindaco di Roma, sia di correre per il governo della Regione. Questa volta, invece, con chance serie di vincere, dovrebbe essere lui il candidato del centrodestra: e non, come vorrebbe Antonio Tajani, il vicedirettore del Tg1 Gennaro Sangiuliano. Per Sergio Pirozzi, sindaco di Amatrice, in corsa da mesi e appoggiato dalla Lega, sarebbe invece già pronto un seggio di consolazione in Parlamento.

Di fronte a una battaglia per la riconferma che si fa complicata, Zingaretti si è dato molto da fare per tenere stretti a sé i compagni scissionisti: più volte ne ha parlato con Vasco Errani, deus ex machina di Mdp, con il quale ha un rapporto preferenziale dopo l’esperienza post-terremoto vissuta a braccetto. La linea di Grasso sembra comunque definita. Separati nel voto nazionale e in Lombardia, uniti al centrosinistra nel Lazio, dove i voti di Leu possono dare un apporto decisivo: il loro peso viene stimato infatti dal 5% in su. E restando alleati a Zingaretti potrebbero sventolare la tesi che loro non sono contro il Pd a prescindere.

Per questo il governatore del Lazio non vuole apparire né pro-Renzi, né anti. Anzi, prova a dare un profilo civico alla sua alleanza, tanto da aver incassato un appello di 202 sindaci su 378 della Regione a suo favore. E batte molto sui temi cari alla sinistra, gli ospedali, i pendolari, ben sapendo che la sfida contro una destra molto forte e la 5Stelle Roberta Lombardi è molto complicata. Per bilanciare l’effetto election day, che potrebbe trascinare al ribasso i consensi, visto che i favoriti sul piano nazionale sono gli avversari di centrodestra, Zingaretti spera nella candidatura di Paolo Gentiloni a Roma; ma ancor meglio sarebbe avere il premier capolista del proporzionale nel Lazio, dove potrebbe fungere da traino al voto nazionale.

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