L’arcivescovo emerito di Ferrara Luigi Negri, firmatario del documento redatto dai tre vescovi kazaki su Amoris laetitia, non chiude alla possibilità di arrivare ai sacramenti per i divorziati che vivono una seconda unione, a patto che questi non vengano concessi «automaticamente, senza una valutazione del singolo caso».

 

L’affermazione, significativa se si guarda al dibattito di questi ultimi mesi attorno all’interpretazione del capitolo VIII di Amoris laetitiaè contenuta in una recente intervista con il vescovo pubblicata dal quotidiano Libero. Tema centrale del colloquio di Negri con il vicedirettore del giornale è il rapporto con l’islam, le radici cristiane, il ruolo di Papa Francesco. Ma il giornalista, verso la fine dell’intervista, pone all’arcivescovo emerito di Ferrara questa domanda: «Lei è contrario alla comunione ai divorziati?». È piuttosto ovvio pensare che intenda riferirsi ai divorziati i quali vivono una seconda unione, dato che per i divorziati che non hanno intrapreso una nuova relazione il problema dei sacramenti non sussiste.

 

Ecco le testuali parole di Negri: «Non può essere data automaticamente, senza una valutazione del singolo caso. Sono contrario alla confusione, per questo gradirei un chiarimento papale. Il cristianesimo non deve essere integralismo né in un senso né nell' altro. Papa Ratzinger ci esortava a creare laici vivi, attivi e intraprendenti». Dunque l’arcivescovo ritiene che ci siano casi in cui la comunione può essere data (ed è evidente che non si riferisca ai divorziati risposati che vivono astenendosi dai rapporti coniugali, perché questa possibilità, introdotta da Giovanni Paolo II, esiste da 37 anni): non pronuncia un “no” assoluto, e invita a non essere integralisti in un senso e nell’altro, cioè non soltanto nel senso aperturista, ma anche in quello che nega qualsiasi possibilità. Specifica invece che non vi possono essere automatismi e che bisogna valutare il singolo caso: parole che suppongono un percorso penitenziale e un discernimento accompagnato dal sacerdote.

 

Prima di riportare queste affermazioni e di trarne le conseguenze, nel pomeriggio di sabato 13 gennaio 2018 Vatican Insider ha contattato telefonicamente l’arcivescovo Negri per verificare se egli si ritrovasse pienamente nelle parole riportate nell’intervista e nella loro interpretazione. Ha risposto affermativamente.

 

Del resto già nel maggio 2016, presentando l’esortazione post-sinodale Amoris laetitia al centro culturale Rosetum di Milano, Negri aveva precisato che il senso delle note del documento, ciò che vogliono dire, «è ciò che vi è scritto». Quindi aveva aggiunto: «Ci sono delle realtà nelle quali la responsabilità subisce delle riduzioni». Nell’accompagnare le persone ci sono dunque casi nei quali si possono «assumere atteggiamenti di maggior comprensione e di maggiore accoglienza». L’arcivescovo di Ferrara (allora non ancora emerito) aveva aggiunto: «Guai però a dire che non c’è responsabilità perché se non ci fosse responsabilità nel male, Dio non sarebbe misericordia», perché non ci sarebbe nulla da perdonare. «Sulla seconda nota: tirare da questo come conseguenza il fatto che si può o si deve dare l’eucaristia a tutti quelli che la chiedono, è indebito».

 

«È giusto – aveva riconosciuto Negri – richiamare i pastori al fatto che la pastorale ha una serie di strumenti che possono aiutare il cammino della fede. Questo il Papa non lo dice, lo dico io: l’eucaristia non è un diritto, ma può essere un aiuto che in certe situazioni potrebbe essere anche dato, con certe attenuanti e condizioni di discrezione e riservatezza, ma per aiutare la fede, non come qualcosa da ottenere in base a un diritto».

 

Dunque, nessun automatismo, nessuna definizione casuistica, nessuna etica della situazione, nessun cedimento al soggettivismo del fai-da-te. Ma il riconoscimento che nell’accompagnare la realtà delle singole situazioni, delle singole storie, dei singoli drammi vissuti dalle persone, ci può essere lo spazio per arrivare, in alcuni casi, a concedere i sacramenti. Che è, del resto, quanto si legge in Amoris laetitia. In questo senso - aprendo ad esempio alla possibilità di casi in cui si ritenga in coscienza che il primo matrimonio non fosse valido pur non potendolo dimostrare in sede canonica – si era espresso negli ultimi giorni del 2017 anche il cardinale Gerhard Ludwig Müller, già Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Il porporato ha anche scritto un lungo saggio introduttivo a sostegno dell’interpretazione di Amoris laetitia proposta dal filosofo Rocco Buttiglione.

 

Riconoscere questo spiraglio aperto da monsignor Negri non significa ovviamente dimenticare le critiche che egli rivolge a certe interpretazioni del documento papale né la richiesta di un autorevole chiarimento in proposito.

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