Il New York Times l’ha definita «l’ultima risorsa», ma si riferiva comunque alla guerra contro la Corea del Nord, e i preparativi che sarebbero silenziosamente già in corso per combatterla. Non ancora spostamenti massicci di truppe, come quelli accaduti prima dell’invasione dell’Iraq nel 2003, ma esercitazioni finalizzate ad essere pronti a combattere, se il presidente Trump lo ordinasse.

Secondo il quotidiano di Manhattan, il mese scorso 48 elicotteri Apache e Chinook hanno fatto le prove per trasportare truppe ed equipaggiamenti sotto un intenso fuoco nemico nella base di Fort Bragg, in North Carolina. Due giorni dopo, 119 paracadutisti della 82a Airborne Division si sono lanciati di notte dal cargo C-17 per simulare un’invasione oltre le linee difensive del nemico. L’operazione era stata chiamata «Panther Blade», è avvenuta nel deserto del Nevada, e lo scopo era costringere gli avversari a combattere su più fronti, già nelle prime ore di un eventuale conflitto. Il mese prossimo oltre mille riservisti verranno mobilitati in tutti gli Stati Uniti, per attivare i «mobilization centers», che servono a trasferire rapidamente reparti all’estero.

A febbraio, le forze speciali americane si schiereranno a Pyeonchang, per difendere il villaggio sudcoreano dove sono in programma le Olimpiadi invernali. Una mobilitazione di questo genere è abituale durante i Giochi, ed era avvenuta anche a Rio in occasione dei mondiali di calcio, ma stavolta il numero dei militari impiegati sarà il doppio.

Un’altra esercitazione, denominata «Bronze Ram», viene coordinata dal Joint Special Operations Command per imitare eventi correnti e prendere il controllo di armi atomiche, così come varie operazioni classificate, che includono la capacità di operare in teatri contaminati dalle armi chimiche. A tutto questo poi vanno aggiunte le sortite dei caccia e dei bombardieri nucleari, che da mesi ormai volano vicino al confine della Corea del Nord insieme ai colleghi delle forze armate di Seul, per quelle che Pyongyang vede come vere e proprie prove di invasione.

Una dozzina di fonti hanno confermato al «Times» che queste esercitazioni servono a preparare la guerra contro Kim, anche se Trump non l’ha ancora ordinata. In altre parole, non siamo ancora alla mobilitazione evidente del 2003, che aveva anche lo scopo di intimidire Saddam Hussein e convincerlo ad arrendersi, e quindi non è cominciata la mobilitazione per l’intervento.

Le esercitazioni però servono ad essere pronti a combattere, anche perché sul piano strategico dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 il Pentagono ha concentrato la propria attenzione sulla lotta contro il terrorismo, la caccia agli insorti, i raid, la guerra asimmetrica, e la macchina potrebbe essere arrugginita per affrontare invece un conflitto tradizionale di terra e di aria contro una nazione ostile. Sullo sfondo, poi, ci sarebbe anche l’ipotesi di preparare un colpo a sorpresa, cioè il «bloody nose», limitato ad un obiettivo specifico per evitare lo scontro campale. Se la diplomazia, che resta la strada preferita, dovesse fallire.

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