Rilanciare l’annuncio e la trasmissione della fede, valorizzando e mettendo in rete i cosiddetti beni culturali ecclesiastici legati ai diversi territori chiamati, insieme alle Chiese locali, ad un nuovo protagonismo. Promuovere cultura e itinerari di senso come occasione di catechesi attraverso l’arte sacra e le bellezze paesaggistiche, quella «via pulchritudinis» fra i percorsi privilegiati verso il Trascendente. Insomma, rivalutare con nuove strategie più coordinate i tanti tesori del patrimonio liturgico, storico, artistico, architettonico sparsi nel Belpaese, ma soprattutto dare un’anima al turismo senza rinunciare ad approfondire la dimensione teologica della bellezza, imparando e insegnando al contempo ad essere custodi capaci di rinnovato stupore. Sono alcuni degli obiettivi che si pongono i “Parchi culturali ecclesiali” (l’acronimo – bellissimo - è “P.A.C.E.”) potenzialmente destinati ad una simbolica riappropriazione di luoghi, testimonianze, strumenti di vita, nel segno del Sacro.

Ci riferiamo ad oltre 65mila chiese (30mila quelle storiche), 232 cattedrali, 1.700 santuari, 800 tra monasteri e abbazie, oltre 3mila biblioteche sovente scrigni di codici miniati e incunaboli, oltre ad un numero impressionante di opere di architetti, pittori, scultori, tutti gioielli, appunto, di una «terra sacra», prima ancora del «museo diffuso» spesso evocato. Se ne parla già da alcuni anni. La prima idea venne presentata da Giovanni Gazzaneo, coordinatore del mensile di Avvenire “Luoghi dell’infinito” e presidente della Fondazione Crocevia, ad un incontro a Lucca nel 2007 con alcuni direttori di uffici della Conferenza episcopale italiana. E l’intuizione fu subito condivisa dall’allora responsabile nazionale per la Pastorale del Turismo - don Mario Lusek - che la tradusse poi in un impegno ufficiale. Non prima di una riflessione comune su alcune linee orientative e convergente sulla configurazione dei «parchi» come aree legate non solo al territorio geografico, ma anche alle tradizioni culturali e alle esperienze religiose.

Quindi, in risposta alla necessità di tutela e valorizzazione secondo le differenti peculiarità, l’approfondimento di un «sistema», radicato sul territorio, capace non solo di coordinare sul posto parrocchie, santuari, monasteri, vie di pellegrinaggio, aggregazioni laicali come le Confraternite, istituzioni religiose e via dicendo., ma pure di metterle in rapporto con altre realtà analoghe in risposta sia ad una maggior fruizione, sia alla salvaguardia della loro funzione e identità. Questo nella consapevolezza che tali beni culturali ecclesiastici non sono stati realizzati per finire dentro dei musei, ma per esprimere la fede, la speranza, la carità, e così, almeno, andrebbero prima conosciuti. Il percorso di attuazione nel frattempo è iniziato.

Almeno una ventina i progetti di parchi giunti all’Ufficio Cei per la Pastorale del tempo libero, turismo e sport che da pochi mesi, dopo i due mandati quiquennali di don Lusek, è diretto da don Gionatan De Marco, già parroco di Miggiano e dal marzo 2016 vice direttore proprio della Fondazione Parco culturale ecclesiale “Terre del Capo di Leuca -De Finibus Terrae”. Promosso dalla diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca, a richiamare sin dal nome il ruolo del santuario mariano sulla punta più estrema della Puglia (e dell’Europa), luogo di culto e pellegrinaggio, nonché quasi un ponte proteso verso il Mediterraneo, questo parco è uno dei primi progetti avviati. Insieme, poi, ecco ad esempio il progetto pilota del parco “Terre di Senigallia” a richiamare l’attenzione su una città balneare che nel suo entroterra rivela una richezza di storia e tradizioni, specchio di una fede semplice vissuta nei secoli in tanti luoghi poco conosciuti , intrisi del linguaggio della minorità (intesa in senso francescano).

Ecco, in Sicilia, il parco culturale ecclesiale “Terre dell’Etna e dell’Alcantara”. E poi “Terre di Fiorenza” o il Parco culturale ecclesiale dei “Castelli Romani”. Sempre fra i primi progetti, da ricordare poi “Terra celeste”, tutto legato all’Abruzzo, diventato anche un libro-documento a più voci, presentato nei giorni scorsi a Chieti dall’arcivescovo Bruno Forte. Con lui Giorgio Agnisola, condirettore della Scuola di alta formazione di arte e teologia alla Facoltà Teologica di Napoli (tra le prime realtà accademiche italiane impegnate nella progettazione dei “P.A.C.E.”); Roberto di Vincenzo, presidente dell’Istituto Nazionale Ricerche Turistiche; don Emiliano Straccini, direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale del turismo e pellegrinaggi. La figura che fa da baricentro nelle pagine di “Terra celeste” (edito da Arte della Stampa) è indubbiamente quella di Celestino V, che nella Majella orientale ed occidentale trovò i luoghi per vivere e proporre cammini di ascesi.

«L’idea del parco permetterà l’incontro tra chi è in cammino e chi accoglie, tra singoli e comunità. La figura di Celestino V è stimolo alla speranza: camminare per non essere soli, camminare per contemplare gli orizzonti di Dio, camminare per gustare nella profondità il sapore della fraternità e dell’ integrazione... Il Parco ecclesiale culturale è una grande sfida per crescere nella cura del proprio territorio e delle relazioni fra comunità», ha affermato don Straccini dopo le parole di monsignor Forte sulla necessità di un «turismo religioso attento alla persona e alla cura dell’ambiente, sensibile ai valori del riposo e della festa, impegnato nella cura del patrimonio artistico come rimando alla bellezza di Dio».

Parole in sintonia con quelle che, in apertura di “Terra celeste”, ha scritto don Mario Lusek: «Avvertiamo tutti come sia crescente l’influenza sulla mentalità, il costume, l’economia, gli stili di vita delle persone di fenomeni inerenti al turismo e al tempo libero. Ma anche avvertiamo gli influssi che hanno sulla concezione dell’uomo e i modelli educativi che veicolano. Per questo è necessario “rimetterci in gioco” interrogandoci sulla nostra “progettualità pastorale” e sulla necessità di integrarsi con il progetto globale di una chiesa particolare; sui “linguaggi” (la progettualità pastorale deve individuare una “pedagogia”che veicoli i messaggi del Vangelo e per questo ha bisogno “di linguaggi correlati alla cultura del tempo libero”); sulla cultura (tutto ciò che rende significante il tempo libero ai fini dell’integrità dell’ uomo); su possibili nuove figure pastorali. E attraverso il protagonismo, le idee, le progettualità sviluppatesi nei territori si sono definite meglio così le “linee”, le “idee guida”, gli “orientamenti” che stanno caratterizzando il lavoro dell’Ufficio Nazionale e che vengono riconsegnate alle Chiese particolari per un ulteriore discernimento, recezione, adattamento e quindi realizzazione».

Uno sguardo su queste idee fa emergere alcuni testi e convegni sin qui punto di riferimento di tanto impegno: l’Evangelii Gaudium di Papa Francesco; gli Orientamenti Pastorali del decennio “Educare alla vita buona del Vangelo” e la loro articolazione annuale; il post Firenze di “In Cristo il nuovo umanesimo”. Ai Parchi Culturali Ecclesiali come «buona pratica per valorizzare i territori», mostra di credere sino in fondo anche il nuovo direttore dell’Ufficio Cei, don Gionatan De Marco. Più volte ha già parlato dei “P.A.C.E.” come di «iniziative, su base diocesana o interdiocesana, capaci di realizzare sistemi territoriali di riferimento per l’integrazione dei beni culturali, dei sistemi di accoglienza e delle strutture di ospitalità», convinto che possano diventare «cardini» nei processi di promozione, accoglienza, fruizione di molti territori del Paese. E in un’intervista recente rilasciata a Hospitality news ha affermato: «Dove questi modelli si stanno avviando – generando un importante effetto “interno” alla diocesi, verso la realizzazione di una pastorale integrata, contribuendo a realizzare una Chiesa aperta e “in cammino” – sono già dimostrabili importanti risultati sul piano dello sviluppo turistico sostenibile, in piena sintonia tra aumento dei flussi di visitatori, tutela del Creato benessere delle comunità locali (con riflessi non secondari sull’occupazione, in particolar modo dei giovani)». «Con la prospettiva» - ha aggiunto – «di migliorare le prestazioni individuali e collettive in termini di accessibilità e di inclusività delle esperienze, verso un turismo “per tutti” che contenga una promessa e un orizzonte di senso per ciascuno» .

.

I commenti dei lettori