Lezione di sanscrito. Narendra Modi, barbuto e canuto premier indiano che ama pescare nella tradizione dei sapienti della sua immensa terra quando vuole chiarire cosa ha in mente, dice al popolo di Davos che la ricetta giusta per un futuro condiviso di progresso è tutta nella frase «vasudhaiva kutumbakam»: significa «il mondo è una sola famiglia».

La cala nel mezzo del discorso al World Economic Forum - intervento pacifico, ambizioso e sapido - per sostenere la lotta al cambiamento climatico e i prodigi delle economie aperte. Non ha dovuto precisare con chi ce l’avesse. L’avversario era evidente: il presidente americano Trump, nuovo profeta sovranista che domani arriva della piazzaforte global per dire la sua e vedere da vicino l’effetto che fa.

In realtà non è stato TheDonald l’unico obiettivo. Sebbene Modi avesse in mente un bersaglio a stelle e strisce - «ogni giorno spuntano fuori nuovi dazi e di nuovo tipo» - nel sottolineare come «tutti i settori della nostra economia sono aperti all’estero» (il che alla prova dei fatti non è così vero, assicurano più fonti) ha tirato sui cinesi, scomodi vicini di casa da sempre, partner inevitabili ma difficili. «Gli accordi commerciali sono quasi tutti fermi», ha insistito. Invece servirebbe «uno sforzo collettivo per creare una economia globale e inclusiva».

L’India punta a essere la terza economia planetaria entro cinque anni, un sistema da 5 trilioni di dollari già nel 2025. Modi mette una dietro l’altra le riforme fatte da quando è al governo, dal maggio 2014, il fisco come le dinamiche di impresa, il che interessa l’Europa, primo investitore nel grande Paese con 50 miliardi di impieghi l’anno. Il programma «make in India» ha l’obiettivo di arrivare a 900 miliardi di esportazioni prima della fine del decennio. L’omogeneizzazione delle tasse a livello nazionale si è rivelata attraente per chi viene da fuori. Al premier ha creato più di un mal di pancia.

La missione di ieri davanti ai delegati del Forum dell’élite era dunque intesa a mettere quanto più possibile Delhi al centro della scacchiera. Così come lo scorso anno il presidente cinese Xi Jinping aveva conquistato Davos, sfruttando l’assenza degli americani che stavano insediando l’amministrazione Trump, e presentandosi come aspirante leader globale, Modi ha cercato di ammaliare con il carisma millenario dell’India e promesse di libero commercio. Con successo relativo, a sentire i commenti dei presenti. Non è stato un brutto discorso. Anzi. Erano vent’anni che un capo di governo indiano non veniva a Davos e «allora cinguettavano solo gli uccellini», ha scherzato Modi usando il riferimento a Twitter come simbolo della rivoluzione tecnologica diffusa. Ha dimostrato un senso straordinario della memoria storica della tradizione Hindu. È partito da lontano per parlare del domani che è già fra noi, con le grandi opportunità e terribili minacce. Prospettiva e visione. «Chi controllerà i dati controllerà il mondo», ha avvertito. Prima di ribadire che «le divisioni lavorano contro l’uomo».

La soluzione che gli appare è nell’affrontare tre sfide. E vincerle. La prima è nel cambiamento climatico e nell’egoismo di chi lo rifiuta. Come Trump. «Una volta consumavamo ciò che ci serviva, ora siamo guidati dall’ingordigia: dovremmo chiederci se è stato sviluppo o decadenza». La risposta è nell’armonia fra l’uomo e la natura. «Come lo yoga e la medicina ayurvedica che evitano la frattura fra noi e l’ambiente che ci circonda».

Servono ovviamente politiche accorte e comprensive. Il che porta alla seconda minaccia che impone soluzioni concertate, il terrorismo: «Il peggio è quando si dividono i terroristi buoni da quelli cattivi». Il terzo pericolo, i sovranisti «cattivi», segue dappresso. Il premier indiano chiede ripensamenti, anche delle organizzazioni multilaterali come l’Onu, non più vicine ai cittadini. Agli unilaterali grida che «la chiave dei problemi non è l’isolamento», che «bisogna capire e accettare il cambiamento». Parlava a Trump, in volo verso una platea che non lo ama. Modi ha cavalcato l’onda ostentando un entusiasmo multilaterale. È piaciuto, ma non come Xi. L’India ha le carte in regola per salire di corsa sul tetto del mondo. Fra qualche anno, però.

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