Dal 1970, ogni 17 gennaio si celebra la Giornata dell’approfondimento e sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei. In questo giorno, le istituzioni e le chiese cattoliche di tutta Italia organizzano incontri con rappresentanti dell’ebraismo.

Il tema del primo dibattito pubblico di 29 anni fa fu, appropriatamente, su “La radice ebraica della fede cristiana e la necessità del dialogo”. Questo mese, dopo dieci anni consecutivi di esplorazione delle interpretazioni cristiane ed ebraiche dei Dieci Comandamenti, il tema è stato sulle interpretazioni ebraiche e cattoliche del “Libro delle Lamentazioni” chiamato “Ekhà”, che significa “Perché” in ebraico. Si tratta di uno dei cinque “Meghillot” o rotoli, e fa parte di un genere di letteratura ebraica noto attraverso i secoli col nome di “Kinot” o “lamento, elegia,” come ha spiegato il Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni, durante il suo discorso per l'occasione delle celebrazioni di questa giornata che si sono svolte presso la Pontificia Università Lateranense. Secondo le più moderne interpretazioni, “Ekhà” ha a che fare con la teodicea, la meditazione teologica e filosofica sulla perpetua questione del perché un buon Dio permetta il male e la sofferenza in questo mondo.

La stessa Gerusalemme è il soggetto del primo Libro delle Lamentazioni. “Ekhà” è un urlo di dolore profondo e di lutto per la distruzione del primo tempio da parte dei babilonesi nel 586 a.C., a cui fece seguito l’esilio del popolo ebraico, e quella del secondo tempio, avvenuto cinque secoli dopo nel 70 d.C.. Il testo viene letto liturgicamente nel nono giorno del mese ebraico di Av, durante nella ricorrenza di “Tisha B’Av”, o il 9 di Av.

Presso la Lateranense, rav. Di Segni ha illustrato l’osservanza di questo giorno di lutto con immagini di preghiere a lume di candela in sinagoghe stracolme. Secondo il rabbino, questo giorno di digiuno e preghiera continua a riflettere la durevole centralità di Gerusalemme nella psiche ebraica, mentre il lutto è esteso alla tragedia della Shoah e degli altri massacri nella Storia ebraica come i pogrom, le crociate, l’espulsione degli ebrei di Spagna nel 1492 e via dicendo.

Di Segni ha fatto notare che parte del significato di questo testo nella comprensione cattolico-ebraica è contenuta in una frase molto simile ad una nota citazione dei vangeli cristiani. Vi si legge che un uomo afflitto dalla sfortuna dovrebbe «...porgere la guancia a chi lo colpisce...» (vv. 28-30). Sono parole sorprendentemente affini alle raccomandazione dei Vangeli (Matteo 5,39 e Luca 6,29) di «porgere l’altra guancia». Citazioni simili si trovano anche in altre parti più antiche della Bibbia come ad esempio Isaia (Is 50, 6): «Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi». 

Rispondendo ad una domanda al termine del discorso alla Lateranense su quali siano gli elementi principali che separano il cristianesimo dall’ebraismo, Riccardo Di Segni ha affermato che l’ostacolo insormontabile per gli ebrei è il credo cristiano nella divinità di Gesù Cristo e tutte le pratiche religiose che seguono questo articolo di fede.

Come disse il vescovo Pierre Duprey, pioniere del dialogo cristiano-ebraico: «Le nostre due religioni sono unite e separate da Gesù l’ebreo», un paradosso che fu nei secoli causa di persecuzioni e odio antisemita. Oggi, ha affermato il vescovo, monsignor Ambrogio Spreafico, presidente della Commissione Episcopale per l’Ecumenismo e il Dialogo, l’attenzione reciproca al dialogo e allo studio, secondo le raccomandazioni del Consiglio Ecumenico è «fondamentale non solo per i nostri rapporti (cristiani) con l’ebraismo, ma anche per la comprensione della nostra fede in Gesù di Nazareth che era ebreo in tutto e per tutto».

Ricordando Nostra Aetate, il documento del Concilio Vaticano II alla base della trasformazione nei rapporti tra cattolici ed ebrei, con lo scopo di sradicare l’antisemitismo in tutte le sue forme, Spreafico ha sottolineato che «l’antisemitismo e il pregiudizio antiebraico che oggi si sposa a volte con l’antisionismo, non è per nulla morto». Per illustrare il concetto ha riportato i dati di un recente sondaggio del World Jewish Congress che ha registrato 382mila post antisemiti sul web ogni 83 secondi. «Non credo che coloro che li hanno postati siano tutti atei!», ha osservato il vescovo.

Le prospettive cristiane sul Libro delle Lamentazioni sono state presentate, tra gli altri, da due eccezionali leader cattolici del dialogo cristiano-ebraico: Piero Stefani, presidente del SAE (Segretariato per le Attività Ecumeniche) - le cui riflessioni, assieme a quello di rav. Di Segni, sono contenute nel libretto della Cei distribuito in platea come guida alle celebrazioni di quest’anno – e Maria Brutti, che ha condiviso il podio della Lateranense con Di Segni.

I due relatori hanno fatto notare come questa liturgia sia stata recentemente usata dai cattolici durante le orazioni funebri per varie tragedie mondiali contemporanee, e che la sofisticata sintassi letteraria del documento (come ha fatto notare anche Di Segni), nel quale i 22 capitoli iniziano con le 22 lettere dell’alfabeto ebraico in ordine, è un modo efficace per esprimere una intensità di sofferenza che sarebbe altrimenti inesprimibile. Purtroppo il Libro delle Lamentazioni è stato anche manipolato dalle Chiese per secoli, interpretandolo falsamente come un documento di teologia della sostituzione in modo da fomentare l’antisemitismo cristiano.

Padre Norbert Hoffman, segretario della Commissione pontificia per i Rapporti religiosi con l’Ebraismo, ha presentato una panoramica delle pietre miliari nei 53 anni di Nostra Aetate - tra cui le visite di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco al Tempio Maggiore di Roma e in Israele, e la pubblicazione di documenti fondamentali da parte della Commissione – contenute in un suo editoriale per L’Osservatore Romano.

Ulteriori osservazioni sui 50 anni trascorsi sono state discusse dal professor Giuseppe Pulcinelli, direttore della Diocesi di Rom per i Rapporti con l’Ebraismo, durante un dialogo introdotto da monsignor Marco Gnavi, delegato per l’Ufficio della Diocesi per l’Ecumenismo, e moderato dal professor Felix Korner presso il Centro Cardinal Bea per gli Studi Giudaici della Pontificia Università Gregoriana, assieme a David Meghnagi, direttore del Programma di Master Internazionale nell’Educazione della Shoah presso l’Università Roma Tre.

Meghnagi ha riconosciuto i grandi progressi fatti negli ultimi decenni, indicando i settori in cui è ancora presente il pregiudizio antisemita, come ad esempio l’esclusione dei siti sacri all’ebraismo dai pellegrinaggi cattolici in Terra Santa, e il silenzio della diplomazia vaticana riguardo alla recente mozione dell’Unesco che chiama questi luoghi esclusivamente con il loro nome musulmano, cancellando in questo modo il loro significato per la religione e il patrimonio culturale ebraico.

C’è stato molto interesse per la dichiarazione “Tra Gerusalemme e Roma. Riflessioni sui 50 anni di Nostra Aetate”, firmata dai più importanti rabbini ortodossi di Israele, degli Us e dell’Europa e delle associazioni che rappresentano (il Capo Rabbinato di Israele, il Consiglio Rabbinico degli Usa e la Conferenza dei Rabbini Europei). La prima bozza del documento risale al 2015, ed è stata presentata a Papa Francesco da una delegazione rappresentativa dell’ebraismo ortodosso il 31 agosto 2017. Anche se c’erano state in precedenza altre importanti dichiarazioni ebraiche riguardo il dialogo interreligioso, tra cui una firmata da vari rabbini ortodossi, esse non hanno avuto lo stesso profondo impatto. La differenza sta nel fatto che questa dichiarazione ha ricevuto l’approvazione unanime da parte dei più autorevoli leader dell’ebraismo ortodosso internazionale.

Nel documento si fa riferimento anche ai due millenni di «insegnamento del disprezzo» dei cristiani, ma vi si riconoscono anche i passi fondamentali verso la riconciliazione e l'espiazione fatti dalla Chiesa Cattolica negli ultimi 50 anni. La speranza è che, considerato il nostro patrimonio condiviso di valori morali, si possa unire le forze per lavorare insieme verso la realizzazione di un futuro migliore…

Durante l’eloquente introduzione alla guida al Giorno del Dialogo della Cei, monsignor Ambrogio Spreafico pone l’enfasi su due aspetti di “Tra Roma e Gerusalemme”: l’impegno ebraico di diffondere tra le sue comunità il nuovo atteggiamento della Chiesa verso gli ebrei e l’ebraismo, e l’impegno cattolico di fare circolare in maniera più efficace e capillare i documenti della Chiesa sul dialogo con l’ebraismo. 

«Ancora oggi», scrive il presidente della Commissione Cei per l'ecumenismo e il dialogo nel libretto-sussidio a questa giornata, «dobbiamo assistere a commenti, espressioni, atteggiamenti, anche di cristiani, che non vanno nella direzione su cui il magistero cattolico ci ha posti definitivamente. L'auspicio è che tutti, dagli esegeti ai teologi, dai catechisti agli insegnanti di religione cattolica, dai sacerdoti ai singoli fedeli laici, promuovano una conoscenza maggiore di quanto la Chiesa cattolica ci ha offerto in questi cinquant'anni, perchè senza mutua conoscenza non ci può essere dialogo, e senza dialogo la convivenza diventa difficile, se non impossibile. Solo il dialogo è via alla pace».

* Rappresentante in Italia e di Collegamento presso la Santa Sede dell’AJC – American Jewish Committee

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