Il vertice fra il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente russo Vladimir Putin ha avuto come tema centrale, inaspettato, il Libano. Netanyahu ha lanciato l’allarme, nel suo sesto faccia a faccia in meno di due anni con il leader del Cremlino, sulle «fabbriche di missili ad alta precisione» che secondo l’Intelligence israeliana l’Iran sta realizzando in Libano. «Non permetteremo che ciò avvenga», ha avvertito.

I RAID IN SIRIA

Quattro mesi fa un raid israeliano ha distrutto una installazione sospetta in Siria, nella provincia di Homs. Lo Stato Ebraico monitora dall’inizio della guerra civile i movimenti delle Guardie rivoluzionare iraniane e dell’alleato libanese Hezbollah in Siria ma ora l’attenzione si è concentrata proprio sul Libano. Netanyahu ha detto che queste fabbriche di missili «sono una linea rossa che non potrà ignorare». Israele ed Hezbollah hanno combattuto per oltre un mese, nel 2006, nel Sud del Libano, e da allora il Partito di Dio sciita ha moltiplicato il suo arsenale missilistico, anche con ordigni di precisione.

«COORDINAZIONE CON MOSCA»

Il premier ha poi ripetuto che le fabbriche «sono in pieno sviluppo» e che ha parlato a lungo di questa minaccia con il presidente russo durante un’ora e mezza di colloquio privato: Putin «ha compreso appieno la nostra posizione e la serietà di questo tipo di minacce». I due leader hanno discusso anche di Siria: «L’esercito russo è ai nostri confini – ha precisato Netanyahu – e siamo riusciti a garantire i nostri interessi e la libertà d’azione (in Siria, ndr) con il coordinamento».

L’ESPANSIONE DELL’IRAN

Il tema principale è stato l’Iran e la sua influenza crescente nella Regione, vista come una minaccia strategica dallo Stato ebraico. In questo contesto c’è il tentativo da parte dei Pasdaran di fare del Libano una piattaforma per la fabbricazione di missili. L’Iran è uno dei principali alleati della Russia in Medio Oriente, e ha partecipato a fianco dei russi, con le milizie sciite addestrate dalle Guardie rivoluzionarie, alla guerra civile in Siria per sostenere Bashar al-Assad.

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