Papa Francesco mi pare un uomo di Dio ed un dono del cielo. Ricordo che Benedetto XVI chiese a Maria a Fatima, nel maggio 2010, di affrettare la vittoria del suo Cuore Immacolato entro il centenario della prima apparizione (13 maggio 1917). Dal 1991 ho cominciato a pubblicare o a far circolare scritti che sviluppano proprio la ricerca di un discernimento del cuore sulla scia del Gesù dei Vangeli. Un discernimento non di un’anima disincarnata, non di una ragione astratta, ma sempre più capace di comprendere, ben al di la’ degli schemi, il personalissimo cammino di ciascuno. Una spiritualità divina e umana, la grazia divina e umana dell’amore di Gesù.

Uno sguardo del cuore, sempre più semplice, profondo ed equilibrato, che rinnova tutta la vita, la cultura, la pastorale. Il cuore divino e umano di Gesù è la chiave di ogni cosa. Francesco è - mi pare - su questa via. E vorrei dire che noto che tante sue scoperte sembrano nascere proprio dal dono della generosità in Cristo, un amore vissuto che apre sempre nuovi orizzonti. Da lui ho imparato molte cose.

Mi ha interrogato la sua disponibilità a rischiare che io approvo tanto e che mi pare uno dei primi segnali, non sempre facilmente riscontrabili in altre persone, di una guida profondamente di Dio. Ma che lui sembra vivere talora persino con imprudenza, come quando beve bevande offerte da sconosciuti. Da lui colgo spunti sulla contemplazione non solo di Dio ma dell’uomo in Dio. Come su un adeguato entrare in comunicazione con le persone nell’omelia, nella costruzione mite e umile, comunitaria, della parrocchia. Sono moltissimi gli spunti di sapienza concreta che mi ha fornito. Una sapienza che quando diventa sempre più vissuta tende a farsi cultura nuova. Come con i quattro principi ai quali spesso si riferisce e che vertono su un sempre rinnovato, dal vivo, discernimento personale, comunitario, intercomunitario. Tutto un superare astrazioni, schemi...

Su qualcosa mi esprimerei con sfumature diverse. Per esempio quando afferma che l’uomo è peccatore. Certo l’uomo è infinitamente bisognoso di crescere ma il peccato vero e proprio, che certo può darsi, è un’altra cosa. San Paolo per esempio nel versetto 4, 4 della prima Lettera ai Corinzi si dichiara, almeno in quelle circostanze, non consapevole di colpa alcuna. Talora insomma mi pare di rilevare un possibile leggero qual moralismo anche nelle sue parole. Bisogna comunque anche comprendere il linguaggio pastorale di Bergoglio. In ogni caso il discernimento in Cristo si può fare sempre più libero, equilibrato, profondo, ben distinto, sereno, attento alla specifica persona, tutta intera.

Talora Francesco usa, anche se molto meno di altri, termini che un giorno forse saranno sorpassati. Personalmente tendo a riferirmi al cuore e non ad un’astratta razionalità, più ad un discernimento spirituale e umano che ad una certa varia psicologia, pur da tenere, cum grano salis, in conto. Comunque, ci tengo a ripeterlo, il discernimento in Cristo si può fare sempre più libero, equilibrato, profondo, ben distinto, sereno, attento alla specifica persona, tutta intera.

Mi domando anche se è così impossibile, inutile, che i sacerdoti romani parlino almeno una volta personalmente col loro vescovo. Sarebbe bello, poi, vedere guide in cerca assetata della profezia, comunque, ovunque, possa essere. Questo mi pare un dono talora molto raro. Anche questo decisivo e profondamente indicativo.

Questo Papa sta profondamente contribuendo ad aprire nuovi orizzonti. E certo sperimenterà facilmente anche la necessità di non dire tutto subito, come Gesù stesso rivelò ai suoi discepoli. Anche tenendo conto del suo ruolo. La questione dello sviluppo delle identità e dello scambio tra di esse mi pare un punto decisivo che emerge dalle sue impostazioni di fondo ma che poi egli sembra tradurre meno in pratica a proposito della scuola. Forse per i motivi appena sopra citati. Ma lo svuotamento della vita dei ragazzi trova nel neutralismo educativo imperante una sua possibile profonda causa. La questione della libera e scambievole cultura, formazione, è alla radice di una possibile società rinnovata. Anche se, appunto, vanno tenute in conto tante problematiche.

Una piccola differenziazione mi pare di trovarla per esempio nella traduzione del Padre Nostro. «Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori». È una preghiera che Gesù ci insegna, che avvengano queste cose. Non è moralismo, che ci fa leggere che se non perdoniamo Dio non ci perdona. Inoltre quel greco «os», come, si può leggere «affinché». Forse Francesco non è così lontano da questa interpretazione. Ho già osservato poi (e qui divago dal confronto col Papa) che persino negli evangelisti si può forse rilevare da un lato una profonda, ispirata, sincerità nel riportare la vita e le parole di Gesù. Da un altro lato può emergere quasi tra le righe talora il timore e forse anche talora la fatica di accogliere l’amore così totale, libero, scandalizzante, di Gesù per ogni uomo.

«E non ci indurre in tentazione»: è una preghiera insegnata da Gesù, non un moralismo. Egli ci insegna a chiedere ogni bene e ci dice che Dio legge il buono delle e nelle nostre preghiere. Ciò che ci fa male non ce lo darà mai, né ci insegna a chiederlo. Cambiare il testo evangelico invece di aspettare di comprenderlo, accettandolo comunque con semplicità, mi pare un errore.

Comunque nella Chiesa è bello dialogare in tanti casi liberamente. E ciò oggi, con Francesco, è più possibile sotto vari aspetti. Si può animare una ricerca più intensa e aperta. Si può imparare a non turbarsi di certe differenze. Ed uscire da, talora, meccanici “intruppamenti” vari. Da un altro lato è importante camminare in comunione, anche, con sano discernimento, in obbedienza. Già prima la Chiesa italiana sembrava orientata, insieme ad altre Chiese cattoliche nazionali, a tradurre «non ci abbandonare alla tentazione» o qualcosa di vicino a questo. Dunque per esempio in parrocchia userò nelle preghiere la traduzione che la Chiesa propone.

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