«Il poliziotto lo so ancora fare, il prete sto imparando». Scherza, don Cristiano Massa. E ricorda quando l’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, gli propose di diventare cappellano della polizia, in Questura a Torino. Ed è stato quasi un ritorno a «casa», per quest’uomo, originario di Rivoli, che dopo dodici anni nelle forze dell’ordine, era entrato in seminario.

Oggi don Cristiano ha 46 anni e il sogno di indossare la divisa lo accarezzava sin da bambino. «Cercavo l’ordine, la giustizia. Ho provato ad arruolarmi nell’Arma, ma sono stato respinto alla visita medica. Per un breve periodo sono stato anche vigile del fuoco, poi, nel ’99, sono entrato in polizia». E’ passato per Alessandria, Sondrio, Lecco, Ivrea e Torino. «Sono stato alle volanti, in sala operativa, con gli agenti di quartiere. Poi, nel 2016, ho preso i voti», racconta.

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IL CAMBIAMENTO

Ed è stato un percorso lungo, a tappe, che lo ha cambiato anche nell’anima. «Potrei dire che è stata colpa della filosofia. Mentre ero in polizia, mi sono messo a studiare: avevo solo la terza media e volevo ottenere almeno il diploma. Ho scoperto la filosofia, mi sono posto molte domande su me stesso. Poi, un giorno, mio nipote mi ha chiesto di fargli da padrino della Cresima e così sono tornato a frequentare la parrocchia non solo alle feste comandate». Da quel momento non ha più smesso: le sue giornate, al commissariato di Ivrea, iniziavano e finivano in chiesa. «Il Signore mi ha sedotto, come può sedurti una donna», sorride. Dietro quegli occhi azzurri, quel viso da buono, sembra sempre di vedere il poliziotto.

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IN SEMINARIO

«Quando ho iniziato con i ritiri spirituali e con il seminario, ho chiesto di essere spostato a Torino all’ufficio personale. Avevo bisogno di riflettere. Nei servizi in strada, a volte bisogna usare la forza. E io non mi sentivo più in pace con me stesso, tanto meno con la pistola appesa alla cintura». Nell’ottobre 2011 è arrivato il congedo, nel 2016 l’ordinazione, poi la parrocchia di Beinasco, e nel febbraio 2017 il ruolo di cappellano. «Noi vi abbiamo dato un poliziotto, voi dateci un prete» l’avrebbe chiesto così, al vescovo, l’allora questore Salvatore Longo. «Il Signore mi ha fatto entrare in polizia, perché gli serviva un prete da queste parti. E’ un modo differente di mettersi al servizio degli altri». Che poi sono i colleghi in divisa.

AMICO DEI COLLEGHI

In ufficio, vicino alle foto con papa Giovanni Paolo II e papa Benedetto XVI, ha ancora il cappello che usava in servizio. «Mi capita spesso di incontrare persone con cui ho lavorato. Con loro parlo degli interventi, delle loro perplessità, dei loro dubbi». E’ un poliziotto a tutti gli effetti. «Mi hanno rilasciato il tesserino, ma non \\\\la placca. Non importa. Il 87Signore mi ha ascoltato, mi ha fatto tornare da dove sono venuto». In un altra veste. «I poliziotti svolgono un lavoro complesso, duro, confrontarsi con qualcuno è molto importante. In molti, poi, arrivano da lontano, hanno lasciato tutto. Hanno bisogno di un punto di riferimento, anche per la fede».

In via Veglia, ogni giovedì alle 8, don Cristiano celebra la messa. Poi visita gli uffici e i commissariati. «Come se fossero visite pastorali», scherza. «Io sono un prete, parlo di Dio. Ma lo faccio in poliziesco».

Don Cristiano, perché porta sempre con sé quell’immagine della Madonna nera? «Me l’aveva regalato un frate quando ero un ragazzino. Gli spiegavo che volevo fare il commissario, ma lui, probabilmente, aveva già capito tutto». Poi si alza, si sistema il colletto bianco, porge un santino di San Michele Arcangelo, patrono della polizia. «La scorto fuori».

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