Recep Tayyip Erdogan bussa alle porte dell’Europa, guarda al Papa per un’iniziativa su Gerusalemme e combatte senza tregua i nemici della Turchia, a cominciare dall’Afrin siriano. A descrivere le priorità del viaggio che inizia oggi in Italia e Vaticano è lo stesso presidente turco. L’incontro avviene al secondo piano del palazzo Beylerbeyi - il Signore dei Signori - costruito sul lato asiatico del Bosforo dai sultani ottomani a metà Ottocento, con un’ala che il presidente adopera come ufficio quando torna nella città di cui è stato sindaco. Con alle spalle i drappi nazionali, Erdogan parla in turco, non distoglie mai lo sguardo e non muove le mani, indossa un elegante abito blu e sfoggia baffi ben curati. Trasmette l’immagine di un leader senza esitazioni.

ENGLISH Erdogan to the EU: “Let Turkey be a full member”

L’unico momento in cui tradisce emozione è quando parla della sua fede nell’Islam: «Per me è tutto, qualsiasi cosa mi ordina è la mia priorità». Alla guida della Turchia dal 2003, presidente dal 2014 e sopravvissuto al colpo di Stato del 15 luglio 2016 con i poteri rafforzati dal referendum dello scorso anno, Erdogan ha domato i nemici interni, bracca quelli esterni, spinge in avanti le truppe in Siria e persegue la creazione di una propria sfera d’influenza in Medio Oriente. Dimostrando in questa intervista una sicurezza, personale e politica, che accompagna la volontà di rilanciare il negoziato per l’adesione all’Unione europea, al momento tutto in salita.

La presidenza di turno bulgara dell’Ue l’ha invitata a Varna a fine marzo a un summit con Junker e Tusk. Crede ancora nella possibilità di aderire all’Unione?

«La Turchia ha ottemperato ai suoi obblighi di Stato-candidato ma non possiamo continuare questo processo da soli. Anche l’Ue deve fare la sua parte, a cominciare dal mantenere le promesse fatte».

A cosa si riferisce?

«L’Ue blocca l’accesso al negoziato e lascia intendere che la carenza di progressi dipende da noi. È ingiusto. Come lo è che alcuni Paesi Ue avanzino per noi opzioni diverse dall’adesione».

Dunque non accetta l’ipotesi di essere affiancato alla Gran Bretagna del dopo-Brexit...

«Desideriamo la piena adesione all’Ue. Altre opzioni non ci soddisfano».

Le resistenze nell’Ue nascono dal disaccordo sullo stato di emergenza e dalle accuse di carente rispetto dei diritti umani...

«Ci aspettiamo che l’Ue rimuova il più presto possibile ogni ostacolo artificiale alla nostra adesione, assumendo un approccio costruttivo. L’adesione della Turchia non può essere sacrificata a calcoli di politica interna».

Cosa si aspetta dal summit di Varna?

«Borisov, Juncker e Tusk sono dei vecchi amici, non c’è un politico con più anzianità di me nell’Ue. Però mi dispiace una cosa: l’Europa, come del resto tutto il mondo, ha il problema del terrorismo. Il Pkk, ad esempio, venne dichiarato organizzazione terroristica dall’Ue e da ogni singolo Stato. Poi però accade che un gruppo si avvolga negli stracci del Pkk e entri nel Parlamento europeo. Sono cose che non devono succedere. Da una parte l’Europa proibisce questa organizzazione e dall’altra ci sono parlamentari che si presentano con i loro simboli nel Parlamento».

Quale è l’argomento in cima all’agenda del colloquio con Papa Francesco?

«Lo status di Gerusalemme».

Perché?

«Dopo la dichiarazione di Trump, contraria alla legge internazionale, ci siamo parlati. Voglio ringraziarlo per quella nostra telefonata su Gerusalemme, in seguito alla quale Papa Francesco non ha perso tempo e ha diffuso a tutto il mondo cristiano un giusto messaggio. Perché Gerusalemme non è una questione solo dei musulmani. Entrambi siamo per la difesa dello status quo e abbiamo la volontà di tutelarlo. Nessuna nazione ha il diritto di adottare passi unilaterali e ignorare la legge internazionale su una questione che interessa a miliardi di persone. Per questo l’Assemblea Generale dell’Onu il 21 dicembre 2017 ha definito illegale la decisione Usa. Sono felice che anche l’Italia l’abbia votata. Come si è visto, a fianco della grandissima America c’erano solo Israele e cinque o sei piccoli Paesi».

Resta il fatto che i palestinesi oggi sembrano isolati, anche nel mondo arabo. Che iniziativa può esservi su Gerusalemme da parte di Turchia e Santa Sede?

«Lo status della città deve essere preservato, sulla base delle risoluzioni Onu, assicurando a musulmani, cristiani ed ebrei di vivere in pace, fianco a fianco. La comunità internazionale deve assumersi la responsabilità di assicurare la pace a Gerusalemme».

Dunque, pensa ad un passo internazionale?

«Mantenere lo status, assicurare i luoghi santi di tutte e tre le religioni e riconoscere i diritti del popolo palestinese è di assoluta importanza. È fondamentale che il Papa, come anche le diverse comunità cristiane a Gerusalemme, mandino messaggi in tal senso».

Quale è la strada da seguire per risolvere il conflitto israelo-palestinese?

«Se si desidera davvero la pace fra israeliani e palestinesi l’unica via è la soluzione dei due Stati. Per questo deve aumentare il numero dei Paesi che riconosce la Palestina. Dunque chiedo all’Italia di riconoscerla al più presto».

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La bandiera turca sventola in Qatar, Sudan, a Gaza e in molti altri luoghi di un Medio Oriente dove siete diventati un attore strategico. Che cosa volete ottenere?

«La Turchia è un attore influente, affidabile e forte la cui cooperazione è richiesta non solo in Medio Oriente ma nel mondo intero. Siamo importanti per fermare i migranti che da Oriente si dirigono verso l’Europa e anche per garantire stabilità e sicurezza dell’Europa. Dedichiamo grandi sforzi a combattere organizzazioni terroristiche come il Pkk, il Pyd-Ypg e Isis».

Ma Europa e Stati Uniti non considerano i curdi siriani del Pyd-Ypg dei terroristi, anzi li hanno sostenuti nella campagna contro Isis...

«Si sbagliano perché non c’è alcuna differenza fra Pkk e Pyd-Ypg. È molto sbagliato tracciare delle differenze fra organizzazioni terroristiche. La situazione in Siria indica che un’organizzazione terroristica non può essere eliminata usando contro di lei un’altra organizzazione terroristica».

Quale approccio ha alle rivolte popolari nel mondo arabo?

«Per mantenere pace e stabilità servono processi politici inclusivi, unità politica delle nazioni e loro integrità territoriale. Riguardo al sostegno per le richieste di democrazia bisogna adottare un approccio basato su principi, senza discriminare singoli Stati o regioni. Purtroppo la comunità internazionale di recente non lo ha fatto e ciò deve cambiare».

Papa Francesco più volte ha denunciato le violenze contro le minoranze cristiane in Medio Oriente. Come fermarle?

«In Medio Oriente le diverse fedi hanno convissuto pacificamente fianco a fianco per secoli. La situazione si è deteriorata a causa di interventi esterni, ideologie estremiste e conflitti causati da terroristi come Isis e Al Qaeda. Il terrore in Medio Oriente non nuoce solo ai cristiani ma anche ai musulmani. Il maggior numero di vittime di Isis sono musulmane. Sarebbe un errore focalizzarsi solo sui diritti di una parte. L’attenzione del Papa per le sofferenze dei rohingya musulmani deve essere d’esempio per il mondo».

Dall’indomani del referendum sull’indipendenza il Kurdistan iracheno è isolato. Come superare questo stallo?

«Il governo regionale curdo-iracheno ha ignorato gli avvertimenti della Turchia e della comunità internazionale, celebrando un referendum illegale che ha disgregato l’integrità territoriale dell’Iraq. Per rimediare a tale errore questo governo deve convincere il governo centrale di Baghdad che rimarrà parte dell’Iraq. Siamo a favore del dialogo Baghdad-Erbil».

Dopo la caduta di Raqqa e Mosul a suo avviso Isis è davvero sconfitta o può risorgere?

«Con l’Operazione Scudo dell’Eufrate abbiamo neutralizzato 3000 terroristi di Isis, recuperando un’area di 2015 kmq, consentendo a 130 mila siriani di tornare a casa. Mentre l’operazione per ripulire Raqqa da Isis era in corso il Pyd-Ypg ha fatto un accordo con Isis facendo scappare numerosi terroristi, molti dei quali ora si trovano ad Afrin».

Le forze armate turche sono entrate nella provincia di Afrin per combattere i gruppi armati curdi. Quali obiettivi militari avete?

«Anzitutto mi consenta di correggere la sua domanda perché le forze armate turche non sono ad Afrin per combattere “gruppi curdi armati”. Non abbiamo problemi con i curdi siriani. Combattiamo solo i terroristi. Ed abbiamo il diritto di farlo. L’operazione “Ramoscello d’Olivo” vuole eliminarli dalla provincia di Afrin, da dove sono partite circa 700 azioni contro le nostre Hatay e Kilis».

Siete stati accusati di aver ucciso dei civili ad Afrin...

«Dall’inizio delle operazioni abbiamo avuto quattro civili morti e 90 feriti a Hatay e Kilis, per il lancio di razzi. Ad accusarci di uccidere civili sono i terroristi di Ypg, che usano scudi umani».

Quando porrete fine alle operazioni?

«Sarò estremamente franco: non vogliamo alcun territorio. Contribuiremo all’integrità territoriale della Siria».

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Sulla Siria collaborate con la Russia di Putin, da cui avete anche acquistato le batterie anti-aeree S-400. Con una decisione che solleva forti timori nell’Alleanza atlantica. Perché lo avete fatto?

«Gli attacchi provenienti dalla Siria hanno evidenziato la necessità di rafforzare e modernizzare i nostri sistemi di difesa aera. Ed è su questo argomento che da qualche tempo, portiamo avanti dei colloqui con diversi Stati. La nostra priorità, oltre al prezzo, era di avere degli interlocutori aperti al trasferimento di tecnologia. Sapendo che vorremmo essere al riparo da qualsiasi problema durante questo processo. Per quanto riguarda l’S-400, la Federazione Russa ha soddisfatto le nostre esigenze sia come prezzo e consegna sia come trasferimento di produzione e tecnologia. È sbagliato mettere in correlazione quest’accordo con la Nato, dato che la Grecia, membro Nato, possiede il modello inferiore, l’S-300. Stiamo portando avanti trattative anche con la Francia e l’Italia».

Di che cosa si tratta?

«L’Aselsan e la Roketsan collaborano con il consorzio italo-francese Eurosam nel progetto di produzione di sistemi di difesa aerea e missilistica a lungo raggio. Durante la mia visita in Francia siamo giunti a un accordo e i lavori sono iniziati. Diamo grande importanza all’industria della difesa. Non vogliamo però essere un Paese che si limiti a consumare e importare».

A Roma vedrà Mattarella e Gentiloni, cosa si aspetta?

«Dobbiamo migliorare le nostre relazioni bilaterali con l’Italia. L’ex presidente Berlusconi è un caro amico e con lui avevamo avviato un’ottima collaborazione, posso dire che le relazioni tra i nostri due Paesi durante il suo mandato sono state molto vivaci e positive. Dobbiamo ritrovare quel clima. Avevamo fatto un accordo importantissimo, ad esempio, per gli elicotteri “Attack Agusta Westland”. E vogliamo sviluppare ancora quel genere di cooperazione. Dopo Papa Francesco incontrerò il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il primo ministro Paolo Gentiloni, per cui ho grandissima stima. Farò inoltre un incontro con gli imprenditori, che mi auguro sia proficuo. L’Italia è il nostro terzo partner commerciale ma il potenziale è maggiore. Siete undicesimi per numero di aziende presenti - circa 1400 - e vogliamo aumentarle. I ponti Osmangazi e Yavuz Sultan Selim sono stati costruiti con partner italiani. Sono convinto che le aziende dei due Paesi potranno firmare grandi accordi grazie all’accordo del 2017».

Per l’Italia la Libia è una priorità strategica. Condividete la necessità di mantenerla unita? Come riuscirvi?

«La Turchia sostiene con vigore l’integrità del territorio libico e la sua unione politica. Incoraggiamo il desiderio di dialogo espresso sin dal 2014 dai nostri amici libici. Constatiamo gli sforzi sinceri di Ghassan Salamé, rappresentante speciale delle Nazioni Unite per la Libia. Siamo a favore del processo portato avanti anche col sostegno del Rappresentante speciale, che punta alla riconciliazione regionale e nazionale, all’adozione di una nuova costituzione e infine, all’organizzazione delle elezioni».

C’è dunque l’ipotesi di un’azione congiunta italo-turca in Libia?

«L’Italia come la Turchia desidera pace e stabilità in Libia. Italia e Turchia hanno rilanciato le attività delle loro ambasciate a Tripoli. E anche questo è un segno dell’importanza che i nostri Paesi danno alla Libia. Più la presenza dei nostri due Paesi aumenterà in Libia più ci saranno opportunità di cooperazione. Il gruppo di lavoro congiunto, in fase di definizione, sulla Libia presto sarà operativo».

A Roma in occasione della sua visita ci saranno anche delle proteste, da parte di gruppi che accusano la Turchia di gravi violazioni dei diritti umani. Se potesse rivolgersi a questi manifestanti, cosa gli direbbe?

«Non mi rivolgo a chi sostiene il terrorismo ma a chi lo combatte. Con i terroristi mi comporto come ad Afrin, lo faccio perché loro capiscono solo quella lingua, e continuerò a farlo. Che lingua parlava l’Italia con i terroristi? La Francia, la Gran Bretagna, l’America, la Russia, che lingua parlano con i terroristi? Ecco, anche io parlo quella lingua».

Lei incontrerà il Pontefice che è uomo di fede. Ma anche lei è un uomo di fede. Quanto conta per la sua identità?

«Essere religioso, la fede, per me è tutto. Non è una cosa di cui posso fare a meno, e tutto quello che la mia religione mi ordina per me è una priorità».

È alla guida del suo Paese da 15 anni. Cosa sogna per la Turchia del domani?

«Sogno che la Turchia sia tra i primi dieci Paesi più sviluppati del mondo. Siamo al quinto posto in Europa e al sedicesimo nel mondo, l’obiettivo è entrare tra i primi dieci».

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