Ci sono 226 mila euro che stanno letteralmente mandando nel panico il M5S. È la differenza tra quanto, 23.418.354 euro, i parlamentari grillini hanno dichiarato - sul sito autogestito tirendiconto.it - di aver versato nel fondo per il microcredito, tagliandosi lo stipendio, e quanto risulta dal prospetto del ministero dello Sviluppo economico che quel fondo lo gestisce, (23.192.331 euro).

Quella differenza è un ammanco che potrebbe nascondere altri casi di furbetti del bonifico, dopo quelli del deputato Andrea Cecconi e del senatore Carlo Martelli, svelati da un servizio delle Iene che sarebbe dovuto andare in onda domenica ma che è stato bloccato. Ragioni di par condicio (il programma non è testata giornalistica) che hanno spinto Michele Anzaldi del Pd a parlare di «imbroglio».

Intanto il candidato premier Luigi Di Maio ha annunciato che «sono già partite verifiche a tappeto» sui singoli profili dei grillini a caccia di eventuali complici o qualcun altro che ha truccato le ricevute degli avvenuti bonifici allegati al sito. Segno che la questione terrorizza i 5 Stelle. Se secondo calcoli interni, infatti, è vero che è di circa 90 mila euro la cifra che i due grillini non avrebbero versato, su per giù mancherebbero ulteriori 136 mila euro dal totale dichiarato su tirendiconto.it. Cinque anni di decurtazioni per 123 tra deputati e senatori, 23 milioni di euro in tutto, sono una cifra considerevole che mette al riparo il M5S da sospetti che molti altri parlamentari abbiano fatto un raggiro di massa, ma non bastano ad alleggerire il clima di vera e propria paranoia che si sta vivendo in queste ore nello staff di Di Maio.

Lo provano proprio le sue dichiarazioni e il cambio di linea. Dall’«orgoglio» ostentato con cui ha «accolto» la decisione dei due parlamentari di dimettersi, alla rabbia con cui ieri il leader ne ha invece chiesto l’espulsione dal M5S. L’ultima parola spetterà al collegio dei probiviri, che sembrava più orientato alla sospensione, anche perché Cecconi e Martelli avrebbero già restituito i soldi. Ma per Di Maio, in piena campagna elettorale, serve la massima sanzione, una severità necessaria per mostrarsi inflessibile davanti agli elettori. «Chi fa queste cose deve restare fuori dal M5S» dice Di Maio incalzato dalle Iene che ieri lo hanno seguito nel suo tour a Lecce. «Non ho parlato con loro due, sono molto deluso» ha risposto il capo politico ai microfoni degli inviati. Non c’è più spazio per l’orgoglio, sfumato nel giro di una notte. Di Maio è consapevole che a tre settimane dal voto questo potrebbe rivelarsi un duro colpo che ammacca il mito della diversità grillina, e di nuovo su una questione di soldi.

Prima è stato Emanuele Dessì, il candidato che pagava 7 euro la casa popolare; ora Martelli e Cecconi: il primo che predicava in sandali contro la spregiudicatezza delle banche e il secondo che da presidente del gruppo alla Camera autorizzava con la sua firma le spese amministrative. Un dettaglio che alimenta l’ipotesi che sapesse come funzionava il meccanismo del versamento e come sottrarsi senza che nessuno se ne accorgesse. I parlamentari effettuano un bonifico dalla propria banca sul conto del Tesoro che a sua volta lo gira a un Fondo di garanzia preesistente, al Mise. Il M5S non ha un filtro di controllo e non prevede una raccolta collettiva intermedia a un Iban dedicato prima che i soldi arrivino al Tesoro.

Il M5S ha obbligato Cecconi e Martelli a pubblicare su Facebook lo stesso comunicato. Sono pentiti e si dimetteranno, dicono. Ma non è così facile. Ormai sono in lista, sono eleggibili e il famoso modulo delle dimissioni volontarie, giuridicamente nullo, già sottoposto a Dessì, è solo una mossa mediatica. Anche per questo Di Maio ha inasprito la sanzione e ne ha decretato l’espulsione.

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