«Organizzare la pace» a tre livelli: nella vita quotidiana, nella vita politica, nella vita internazionale. È questa «la sfida di oggi» secondo il cardinale Gualtiero Bassetti che, alla vigilia della Giornata di preghiera e di digiuno indetta dal Papa per i Paesi in guerra, in particolare Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan, lancia - in un editoriale su L’Osservatore Romano - un appello di pace quale «autentica vocazione cristiana».

La pace, scrive il presidente della Cei, «va costruita, prima di tutto, nella vita quotidiana: la recente sparatoria in una scuola della Florida dove sono morte 17 persone, è la spia di una società percorsa da un’inquietante scia di rancore e violenza». Poi va «organizzata nella vita politica: le ultime campagne elettorali nelle più importanti nazioni del mondo sono state caratterizzate da lacerazioni profonde, scontri frontali e spesso da un linguaggio violento», osserva il porporato.

Che sottolinea come la pace vada organizzata anche nella vita internazionale: «Nella Repubblica Democratica del Congo, nel Sudan, nella Siria continuamente martoriata da una guerra feroce che ormai da quasi sette anni ha fatto mezzo milione di vittime e milioni di sfollati e profughi».

«La ricerca della pace è uno degli obiettivi più importanti del mondo contemporaneo. Eppure continua a essere al centro di polemiche ricorrenti», sottolinea Bassetti, secondo il quale «spesso infatti chi parla di pace viene etichettato sbrigativamente con una parola dal sapore amaro: buonista. Un termine abusato che si è ormai trasformato in un epiteto spregiativo - quasi un sinonimo di pavido, stolto, traditore - che viene assegnato con superficialità». Si tratta, però, «di una contraffazione della realtà. È vero il contrario. Chi si sforza per costruire un mondo di pace, in cui venga riconosciuta ovunque la dignità della persona umana, è invece un eroe dei nostri giorni».

Secondo l’arcivescovo di Perugia, «basta una sola statistica per comprendere l’orrore dei conflitti. Il 2017, secondo una stima dell’Unicef, è stato un anno terribile per i bambini che vivono nelle zone di guerra: oltre 27 milioni sono stati costretti ad abbandonare le scuole e moltissimi sono stati utilizzati come soldati, come `scudi umani´ e addirittura come `armi non convenzionali´». In questo «scenario spaventoso emerge con forza la domanda del Papa che interpella tutti: “Che cosa posso fare io per la pace?”, cosa possiamo fare “concretamente” per dire “no alla violenza” e alla guerra?».

«La prima risposta - afferma il presidente dei vescovi italiani - è ispirata dal comandamento di Dio: non uccidere. Non uccidere moralmente chi è diverso; non uccidere politicamente l’avversario; non uccidere con la forza delle armi in ogni controversia internazionale. In nessun caso, infatti, il realismo può confondersi con il cinismo. E i ragionamenti colti degli analisti non possono fornire alibi ai professionisti della guerra».

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