Fortemente voluta dal Papa, conscio della gravità della situazione e profondamente turbato per le notizie che continuano ad arrivare dal Sud Sudan e dalla Repubblica Democratica del Congo – così come da altre aree tormentate da guerre e conflitti –, si celebra oggi una Giornata speciale di digiuno e preghiera per invocare la pace e richiamare tutti i fedeli a impegnarsi per la riconciliazione e il dialogo. «Rivolgo un accorato appello – aveva detto il Pontefice annunciando l’iniziativa nel corso dell’Angelus del 4 febbraio scorso - perché anche noi ascoltiamo il grido e, ciascuno nella propria coscienza, davanti a Dio, ci domandiamo: “Che cosa posso fare io per la pace?”. Sicuramente possiamo pregare; ma non solo: ognuno può dire concretamente “no” alla violenza per quanto dipende da lui o da lei. Perché le vittorie ottenute con la violenza sono false vittorie; mentre lavorare per la pace fa bene a tutti!». 

Per l’occasione, il Papa non ha voluto limitare l’appello ai soli fedeli cattolici, ma lo ha esteso ai cristiani delle altre Chiese e ai seguaci delle altre religioni. «Come in altre occasioni simili, invito anche i fratelli e le sorelle non cattolici e non cristiani ad associarsi a questa iniziativa nelle modalità che riterranno più opportune, ma tutti insieme». 

Il gesto, inserito nel centro del periodo quaresimale, ha fin da subito suscitato grande interesse e spinto moltissime realtà cattoliche alla adesione. Tantissimi gli ordini religiosi, le diocesi, i movimenti che hanno fin da subito espresso totale appoggio e organizzato a loro volta momenti di incontro in tutto il mondo. Tra i principali, la veglia organizzata da Giustizia e Pace e Solidarity with South Sudan nella chiesa di San Marcello, Roma, oggi alle 19. 

Ma vastissima è stata anche la risposta all’appello del Papa da parte dei rappresentanti di altre confessioni o fedi. Olav Fykse Tveit, segretario generale del World Council of Churches (l’organismo di dialogo ecumenico che rappresenta le diverse confessioni cristiane di tutto il mondo), ha inviato una lettera a tutti i membri chiedendo a ogni comunità di unirsi al Papa nella speranza che «le preghiere e il digiuno siano un dono di pace e un segno di solidarietà e vicinanza a chi è oppresso dalla guerra». 

La Comunione Anglicana ha sposato l’iniziativa ed espresso totale partecipazione. L’organo ufficiale ha dedicato un editoriale speciale all’evento e sottolineato come la risposta abbia avuto una dimensione «globale e positiva». L’arcivescovo Masimango Katanda Zacharie, primate della Chiesa Anglicana del Congo, ha dichiarato la propria «grande soddisfazione per l’iniziativa del Papa» e preso l’impegno di coinvolgere tutte le sue diocesi.

Commovente, invece, la testimonianza di un gruppo di donne sud sudanesi, raccolta dai Comboniani sul loro sito: «Siamo donne per la pace, ogni mese preghiamo e marciamo insieme per le strade di Juba, la capitale della nazione più giovane del mondo. Siamo di etnie e religioni diverse, ma tutte abbiamo partorito nel dolore durante i 50 lunghi anni della guerra. Non possiamo più sopportare che i nostri figli continuino ad uccidersi per i giochi sporchi di chi svende la nostra terra e ruba le nostre risorse, primo fra tutte il petrolio».

Oltre i confini della fede cristiana, si registrano altrettante adesioni. L’Unione induista italiana, Sanatana Dharma Samgha, ha raccolto l’invito e mobilitato tutti i templi, i centri di culto, le comunità sparse sul territorio italiano chiedendo a tutti i fedeli di riunirsi in preghiera e offrire il proprio digiuno. «La nostra religione conosce quanto sia forte e decisiva l’energia che sprigiona dalla preghiera e dal digiuno dagli alimenti, dalle passioni, dalla violenza. Crediamo molto in questa forma di azione non-violenta» ha dichiarato Franco Di Maria Jayendranatha, presidente dell’Uii. 

«Ci sentiamo esattamente come quegli uomini e donne di buona volontà, aperti all’ascolto di Dio, a cui il Papa ha fatto riferimento – gli ha fatto eco Hamsānanda Ghiri, monaca, vicepresidente dell’Uii, referente per il dialogo interreligioso. Siamo afflitti dal dilagare dell’iniquità nel mondo ma ognuno di noi, può fare la differenza». 

L’imam Yahya Pallavicini della Coreis (Comunità religiosa islamica) ha dichiarato all’agenzia Sir: «L’appello di Papa Francesco si traduce in un messaggio umanitario e una sensibilità fraterna. Siamo tutti chiamati a entrare in contatto con la natura intrinseca dell’uomo in fraternità concreta». 

Le adesioni all’iniziativa non hanno praticamente mai smesso di giungere ai Pontifici Consigli per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e per il Dialogo Interreligioso, tanto da far dichiarare a monsignor Andrea Palmieri, sottosegretario al Dicastero per l’Unità dei Cristiani: «Continuiamo a ricevere le risposte da parte di Chiese Ortodosse, di altre Chiese o Comunioni e non disponiamo ancora di una lista completa di tutte le partecipazioni».

Nella Repubblica Democratica del Congo, a causa del conflitto civile – che dal rifiuto del dicembre 2016 del presidente Kabila di lasciare il potere e indire elezioni, vive una fase di durissima recrudescenza - 4,3 milioni di persone sono fuggite dalle proprie case (1,7 milioni solo nell’ultimo anno, complessivamente un numero di profughi superiore a quello della Siria) mentre, su una popolazione di circa 80 milioni, saranno almeno 13 milioni gli abitanti afflitti dalla crisi umanitaria e a rischio sopravvivenza

In Sud Sudan, invece, a seguito del conflitto scoppiato nel 2013, due anni dopo l’indipendenza, almeno 2 milioni di persone sono state costrette alla fuga oltre i confini e altrettante sono profughi interni. Dei 13 milioni circa di abitanti, ben 7 sono in una situazione di grave rischio di sopravvivenza.

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